lunedì 31 agosto 2015

Ispirazione Notturna

Non sono ancora le dieci e i miei occhi cercano già di chiudersi. Non sarà che sto invecchiando? Non è da me addormentarmi a quest'ora sul divano, la mano ancora stretta sul telecomando in cerca di qualche programma decente da guardare. Maledetta giornata! Mai avuta giornata più pesante. Fare la baby sitter ad un bambino di cinque anni che non sta fermo neppure un minuto è veramente stancante. Se penso che domani sarà uguale vorrei tanto nascondermi sotto le coperte e non uscire più. Però... devo dire che di fronte al suo sorrisetto mi sciolgo come neve al sole. Non dico che sia un lavoro infernale, anzi, è molto divertente. Peccato che ti lasci senza energie.
Rassegnata a non trovare nulla di decente in tv, mi avvio verso il bagno e, dopo essermi lavata i denti, mi metto il pigiama e mi infilo a letto. Come sempre però il mio cervello, che fino a pochi minuti prima era tranquillamente in stato comatoso, decide che è ora di mettersi a pensare e, dopo aver pensato a cosa potrebbe succedere domani, perchè non iniziare a pensare a una nuova storia?
La sveglia sul comodino mi fa notare che sono le 22.00.
'No, non ora. Ti prego! Domani devo alzarmi presto!' lo imploro girandomi dall'altra parte.
Ma ovviamente non c'è una volta che mi dia ascolto. Bastardo! Lo sai che poi domani rimpiangerò di non essermi scritta una bozza della storia che stai progettando!
Non ho mai capito per quale motivo si diverta a propormi le storie più interessanti quando ormai sono beatamente sdraiata sotto le coperte. Visto che questa volta la storia mi sembra più interessante del solito, decido di assecondarlo e mi alzo, dirigendomi verso lo studio alla ricerca di carta e penna. Dopo aver scritto a grandi linee la trama su di un post-it, me ne ritorno a letto soddisfatta, illudendomi che mi lascerà in pace, ma non faccio in tempo a lasciarmi avvolgere dalle lenzuola, che qualche neurone biricchino subito inizia ad aggiungere dettagli e particolari, continuando così a sviluppare la storia. Ah, ma perchè diavolo non hanno ancora inventato una macchina che scarica i pensieri?! Così tu potresti tranquillamente pensare tutte le storie che vuoi mentre io potrei scivolare nel sonno. No, eh? Okay, okay. Mi alzo!!! Calmati.
Afferro uno dei tanti quadernini che uso per scrivere i miei racconti e inizio a buttar giù qualcosa. Lascio che sia la mia mente a comandare. Non amo intromettermi quando è al lavoro, la lascio libera di esprimersi come vuole. Una dopo l'altra le parole si materializzano come per magia sul foglio e quella che doveva essere solo una bozza si trasforma in una storia vera e propria.
Una volta terminato richiudo il quaderno, ci penserò domani a correggerla. Intontita dal sonno ritorno per la terza volta a letto. La storia ormai è conclusa, forse ora potrò finalmente dormire.
'E se...?'
"Oh, ma sta zitto!" borbotto interrompendo una nuova valanga di pensieri e lentamente tutto si spegne per poi tingersi di nuovi colori. Finalmente si comincia a sognare. 

domenica 30 agosto 2015

Killer d'Inchiostro

L'ispettore Mancini parcheggiò l'auto davanti ad una palazzina arancione, poco distante da Prato della Valle. Facendosi largo tra la piccola folla che si era radunata lì davanti, riuscì finalmente ad entrare e si rivolse al poliziotto che stava interrogando gli inquilini del piano terra.
«Ehi, Ricci! Che succede?»
«Buongiorno ispettore, la stanno aspettando, sono al quarto piano».
L'ispettore si guardò intorno e sbuffò. Nessun ascensore, sarebbe stato costretto a salire a piedi. Maledicendosi per tutti i chili accumulati negli ultimi mesi, iniziò a salire controvoglia le scale. Una volta raggiunto il quarto piano era quasi senza fiato. Uno dei suoi colleghi, l'ispettore Vincenzi, gli si avvicinò mollandogli una pacca sulle spalle: «Non vorrai mica dirmi che il grande ispettore Ettore Mancini si fa mettere ko da quattro scalini, vero?»
Ettore si limitò a guardarlo in cagnesco.
«Era ora che arrivassi», disse l'altro facendosi serio, «La situazione sta degenerando. E' già il quarto questa settimana».
«Stessa dinamica?» volle sapere Ettore.
«Identica», confermò «Omicidio a porte chiuse. Nessuna impronta. La vittima, come sempre, è uno scrittore, appartenente a una di quelle community dove si scrivono libri e racconti condivisi attraverso la rete. La causa del decesso è sempre la stessa: soffocamento».
«E scommetto che l'autopsia rileverà la presenza di inchiostro nella trachea».
Ettore esaminò lo studio, la scena del crimine. Guardandosi intorno osservò la cura maniacale con cui ogni libro e ogni soprammobile erano disposti sui loro scaffali. I libri erano tutti precisamente allineati, dal più grande al più piccolo. Il corpo, mollemente adagiato sulla poltrona, stonava con l'ordine rigoroso e la precisione che regnavano nella stanza. Il computer, ancora acceso, era posizionato al centro esatto della scrivania, e il puntatore continuava a lampeggiare su di una pagina bianca.
Sollevando gli occhi, Ettore notò l'agente Tognon che ispezionava accuratamente le finestre.
«Sono chiuse, Guido» esclamò Ettore.
«Eppure l'assassino deve essere entrato in qualche modo», rispose lui senza guardarlo.
«Trovato niente?» lo stuzzicò.
«Niente», rispose Guido alzando le spalle, «Mi arrendo».
«Ehilà, Guido!» lo salutò Vincenzi, «E' meglio che stai attento, sai?»
«Cosa intendi dire?» domandò Ettore incuriosito.
«Non lo sai? Anche il nostro caro Guido si diverte a scrivere racconti in uno di quei siti».
«Solo come passatempo, niente di più» rispose imbarazzato.
Troppo occupati a prendersi gioco di lui, i due ispettori non si accorsero che un'ombra nera come l'inchiostro si era staccata dalla scrivania e stava scivolando lentamente verso di loro, fino a raggiungere l'ombra di Guido e a fondersi con essa. L'agente fu percorso da un brivido freddo.
I tre uomini sigillarono l'appartamento e si avviarono verso il ristorante più vicino.​ 

Una volta tornato a casa, Guido si sdraiò sul divano e accese la tv. Si sentiva irrequieto e non faceva altro che saltare da un canale all'altro. Aveva una strana sensazione, probabilmente quel caso così strano lo aveva scosso più di quanto pensasse. Accese il portatile e andò a farsi una doccia per sciogliere la tensione accumulata per colpa di quel caso. Mentre canticchiava sotto la doccia, l'ombra ne approfittò per scivolare via da lui e, raggiunto il soggiorno, scivolò all'interno del computer.
L'agente si avvolse l'accappatoio intorno al corpo, tornò a sedersi sul divano e afferrò il computer dal tavolino lì davanti. Gli era venuta una bella idea per un racconto comico, un racconto che avrebbe avuto come protagonisti Vincenzi e Mancini, giusto per prendere due persone a caso. Guido sorrise. Gliel'avrebbe fatto trovare l'indomani mattina sopra la scrivania. Le sue dita volteggiavano frenetiche sulla tastiera. In meno di un'ora il racconto era terminato. Guido cliccò sul tasto 'salva', ma le parole scomparvero dalla pagina.
«Maledizione!» imprecò, fissando il puntatore che lampeggiava sulla pagina ormai vuota. Prima che potesse battere un solo tasto, sulla pagina iniziarono ad apparire dei trattini.
«Che ca...» mormorò Guido, continuando a fissare lo schermo, stupito e sopreso.
Una volta che il messaggio fu completato, un brivido gelido corse lungo la sua spina dorsale.  

 *** TU ***
*** SEI ***
*** IL ***
***PROSSIMO***


Guido continuava a fissare quelle quattro parole, incapace di proferire parola. Scuotendo la testa, cercò di persuadersi che era solo uno stupido scherzo. 'Probabilmente quei due idioti si sono introdotti nel mio computer per farmi uno scherzo', si disse, ma sentiva che non era così. Il senso di inquietudine che l'aveva accompagnato per tutto il giorno s'intensificò, trasformandosi in terrore. Posò la mano sullo schermo per chiuderlo, quando una voce bassa e graffiante lo fermò:
«E' inutile. Non puoi ssssssscappare».
«Chi sei?» gridò l'agente allarmato, afferrando la pistola che aveva lasciato prima sul tavolino.
«Non ti ssssssssservirà» sibilò la voce.
«Chi sei?» ripeté di nuovo.
«Guarda lo ssssssschermo».
Guido posò lo sguardo sulla pagina, in attesa. Le parole sullo schermo evaporarono in sottili spirali di fumo nero come la pece, condensandosi di fronte ai suoi occhi in una sorta di nube dalla forma vagamente umana. L'agente aprì la bocca per urlare e l'ombra gli si fiondò rapida giù per la gola.
Guido, paralizzato dal terrore, non riusciva a muovere un muscolo.
«Ecco chi sono» sussurrò la creatura.
La mente di Guido venne attraversata da ricordi che non gli appartenevano. Vide un vecchio seduto dietro un bancone, lo sguardo sconsolato che osservava la sua libreria costantemente deserta, le lacrime che gli rigavano il viso. Sentiva la sua disperazione e il suo sconforto. Era un piccolo editore, a cui nessuno si affidava più. Da quando erano nati quei siti in cui era possibile pubblicare i propri racconti e condividerli con il resto del mondo, più nessuno sembrava avere bisogno di lui. E perchè mai? Ormai c'erano gli ebook, stampare un libro non serviva più. Il vecchio prese in mano uno dei libri che c'erano sul bancone, lo aprì e annusò il profumo della carta stampata e dell'inchiostro. Ripose il libro al suo posto e si avviò verso la stampante.
'Maledetti bastardi, giuro che troverò un modo per farvela pagare. Vi credete grandi scrittori. Pensate di non avere più bisogno di noi, ma la pagherete cara!'
Il vecchio staccò il cavo della stampante e vi ci si arrampicò sopra, facendo passare il cavo sopra una delle travi di legno del soffitto, formando un cappio. Dopo avervi infilato la testa il vecchio mise un piede in avanti e si lasciò cadere. Il cavo, tendendosi, gli ruppe l'osso del collo.
I ricordi svanirono e l'ombra sibilò: «Voi mi avete ucciso, e ora io vi ucciderò! Uno dopo l'altro».
Boccheggiando, Guido cerco di alzarsi, ma la creatura lo teneva incollato al suo posto. La mano che impugnava la pistola si strinse sempre di più intorno al grilletto, finchè non partì inavvertitamente un colpo. Il viso di Guido cambiò colore, da rosso divenne quasi blu e, con un ultimo rantolo, i suoi polmoni cedettero.

Avvisati da uno dei vicini che aveva udito lo sparo, Ettore e l'ispettore Vincenzi sfondarono la porta dell'appartamento di Guido e lo trovarono lì, seduto sul divano, il portatile ancora appoggiato alle gambe e la testa leggermente inclinata all'indietro. Gli occhi erano spalancati dal terrore. Mentre l'altro ispezionava l'appartamento in cerca di qualche indizio, Ettore si avvicinò al cadavere e gli chiuse gli occhi. Il suo sguardo si posò sul computer e fu allora che vide un'ombra dirigersi verso l'uscita. 'Impossibile', si disse. Quando uscì dalla porta per accertarsi di ciò che aveva visto, l'ombra era ormai scomparsa.
Nel frattempo l'ombra penetrò nel computer della stanza accanto, insinuandosi all'interno della rete Internet, alla ricerca della sua prossima vittima. L'ombra scrutò i vari profili di scrittori che la rete le offriva e scelse la sua nuova vittima.




Fossi in te, caro Lettore/Scrittore, io starei attento, perchè, prima o poi, lei ti troverà. La prossima vittima...





*** POTRESTI ***
*** ESSERE ***
*** PROPRIO ***
*** TU ***


venerdì 28 agosto 2015

Amicizie Virtuali

Scrivere all'interno di una community o anche su un blog ti permette di conoscere gente nuova, diversa e spesso con interessi comuni. E' stato così che ho conosciuto tante persone con cui ho stretto amicizia nel corso degli anni (anche se la maggior parte delle volte solo virtualmente). 
Grazie a 20Lines, l'anno scorso ho conosciuto anche una simpatica ragazza di nome Adriana. Diversamente da me, che preferisco il genere fantasy in ogni sua sfaccettatura, Adriana ha iniziato scrivendo racconti e romanzi rosa. Ci siamo conosciute in un periodo un po' particolare: mancava una settimana alla mia laurea, mentre lei si era laureata solo qualche giorno prima. Quell'estate 20Lines aveva organizzato un concorso di racconti horror scritti a più mani, ho notato l'incipit che aveva scritto e ho provato a continuarlo. Ed è così che è cominciato tutto.
Da allora il mio modo di scrivere ha subìto parecchi cambiamenti; oserei dire che ci siamo influenzate a vicenda. Talvolta i miei racconti assumevano dei caratteri più realistici mentre alcuni dei suoi si tingevano di note fantasy.

Oggi voglio lasciarvi alcuni dei suoi racconti in cui è presente un mio piccolo contributo: i primi tre sono horror, mentre l'ultimo è romantico.
Spero vi piacciano! 
Buona Lettura!!!


Under the Bed

I coniugi Thompson si erano appena trasferiti con i loro figli in un piccolo villino poco distante da St. Louis. Avevano sempre desiderato potersi allontanare dalle grandi città piene di smog e di traffico per ritirarsi in qualche paesino tranquillo dove i loro figli potessero vivere sereni e in salute. Avevano passato l'intera giornata a scaricare scatoloni e a cercare di mettere in ordine ciò che contenevano. Era stata una giornata lunga e pesante, ma alla fine erano riusciti a trovare posto per ogni cosa, bastava solo ricordare dove.
Mentre i genitori stavano mettendo a soqquadro la cucina alla ricerca delle pentole per preparare la prima cena nella nuova casa, i loro figli, di sei e undici anni, stavano giocavano in soggiorno. Jared si divertiva moltissimo a spaventare il fratellino raccontandogli storie paurose: «Lo sai Kyle», sussurrò, «che papà ha comprato questa casa perchè non la voleva nessuno? Lo sai perchè? Perchè è una casa stregaaaaaaaaaaata».
«Non è vero. Stai dicendo una bugia»
«No. Me l'ha detto lo gnomo che sta in giardino. E mi ha anche detto che quando i bambini piccoli come te vanno a dormire, il mostro che vive sotto il loro letto si sveglia e mangia loro le dita dei piedi», e già pregustava il momento in cui lo avrebbe spaventato, nascondendosi sotto il suo letto quella sera.
«Non è vero» piagnucolò Kyle, «sei un bugiardo, lo dico alla mamma. MAMMAAAAAAAAA!!! Jared mi racconta cose brutte».
«Jared! Quante volte ti ho detto di non spaventarlo così?!» lo sgridò la madre.​

martedì 25 agosto 2015

Il Caso "Frankenstein"

«Mi dica solo perchè» sibilò Giulio in preda alla collera.
«Sovraintendente Lombardi, si calmi. Il caso "Frankenstein" le è stato affidato per errore, ecco perchè», rispose il commissario, «L'ispettore Marchese è più qualificato. Ora, se vuole scusarmi, ho un impegno urgente», e detto questo uscì veloce dalla stanza.
Giulio aveva tutto il diritto di essere furioso. Il caso "Frankenstein" era il caso più importante di cui il distretto si fosse mai occupato. Non c'era giornale o notiziario che non parlasse del serial killer che da circa sei settimane terrorizzava la città. Cinque omicidi, tutti verificatisi di martedì, e nessuna impronta, ma la cosa più assurda era che ogni volta il killer portava via con sé una parte della sua vittima. Una volta un braccio, un altra un orecchio, poi il fegato, un cuore e infine un piede. Per questo motivo era stato etichettato come "Dr. Frankenstein".
«Sei riuscito a farti restituire il caso?» gli domandò la sua assistente.
«Ti sembra forse che io sia contento?» sbraitò lui di rimando.
«In effetti no».
«L'ha affidato a Marchese. Quell'idiota sa a malapena mettere un piede davanti all'altro. Figuriamoci se è in grado di risolvere un caso del genere».
«Potremmo sempre investigare per conto nostro» suggerì lei sorridendo.
«Questa sì che è un'idea geniale, Valentina! Allora... andiamo!» disse lui infilandosi la giacca.
«Perchè?»
«Perchè oggi è martedì». 

lunedì 24 agosto 2015

A tutto Horror

Devo dire che l'horror è un genere piuttosto intrigante e dalle molteplici sfaccettature. Mi affascina soprattutto il fatto che, proprio come il genere fantasy, l'unico limite è quello imposto dalla nostra stessa immaginazione.
Per gli amanti di questo genere, nei prossimi giorni proporrò alcuni racconti scritti a più mani insieme ad altri autori della community di 20Lines. 

Buona lettura a tutti!

La Morte Danza con Me

«Ma ti ha forse dato di volta il cervello, Sarah?»
«Oh mio dio, Alexander! Non crederai mica a quelle ridicole storie, spero» sbottò, appoggiando le mani sui fianchi.
«Non puoi dare una festa nel vecchio castello di famiglia» replicò irritato.
«Perchè ci sono i fantasmi?» lo derise lei.
«Io non ho parlato di fantasmi, ma di sicuro c'è qualcosa di sinistro lì» obbiettò Alexander.
«Dai Alex, non fare il guastafeste. Il ballo in maschera si terrà nel salone principale, lontano dall'ala ovest. Così nessun mostro potrà farti del male».
Lui le lanciò un'occhiata gelida, ma non poteva non sentirsi sollevato. L'ala ovest era bruciata secoli prima in un incendio che aveva quasi sterminato tutti i suoi antenati e da allora era sempre rimasta chiusa. Tuttavia, quando tre anni prima erano andati a visitare il castello con l'intento di restaurarlo, Alexander era stato preso da uno strano presentimento, come se quella porta non dovesse mai venire aperta.
«La mamma non ti permetterà mai di organizzare una festa lì» disse Alex.
«E invece sì», rispose allegra, «in fondo diciotto anni si compiono una volta sola. Quindi prepara i bagagli, domani partiamo per la Scozia».
Mentre Alex si allontanava infuriato, convinto di riuscire a persuadere la madre a cambiare idea, Sarah prese il cellulare e compose il numero della sua migliore amica:
«Ciao Sophie! Ricordati di portare la torcia. Dopo la festa ho intenzione di visitare l'ala ovest, ti va? Sì, esatto. Andremo a caccia di fantasmi». 


Attenzione!!! Il seguente racconto presenta due diversi finali.

sabato 22 agosto 2015

Il giorno in cui ho smesso di tremare

Si tratta di un altro racconto, questa volta però di genere drammatico, scritto a più mani insieme ad alcuni scrittori di 20Lines. Il tema affrontato è un tema particolare e piuttosto delicato, di cui si sente parlare ancora oggi: la violenza sulle donne. 
Spesso una donna che subisce delle violenze tende a isolarsi e a nascondersi, il più delle volte a non reagire, convincendosi che ribellarsi porterebbe solo ad un ulteriore peggioramento della sua situazione; una situazione dalla quale non vede alcuna via d'uscita. In poche hanno il coraggio di ribellarsi e Claire Stevenson è una di queste!
Si tratta una storia raccontata da tre diversi più punti di vista, non solo della vittima, ma anche del marito e di una cara amica.

Vi auguro una buona lettura!!!


Il giorno in cui ho smesso di tremare

Mi chiamo Claire Stevenson, ho 34 anni e sei mesi fa ho sposato un mostro. Prima di diventare mio marito, Connor Stevenson, sembrava una persona dolce e premurosa. Ci siamo conosciuti nel piccolo bar che gestisco in centro a New York, proprio di fronte al suo studio legale. Mi ha corteggiata e trattata come una principessa per circa due anni prima di chiedermi di sposarlo. Sono stati due anni meravigliosi, ero così felice e mi sembrava di stare in paradiso, ma mai avrei pensato che la mia favola celasse un finale del genere e che con il matrimonio sarebbe invece iniziato il mio inferno.
Solo attraverso la convivenza ho scoperto di aver sposato un uomo completamente diverso da ciò che credevo. Un autentico bastardo. Per lui non sono stata altro che una semplice conquista, mentre ora sono solo una schiava alla mercé di un pazzo.
Dopo le prime settimane di matrimonio, infatti, Connor ha iniziato ad essere sempre più freddo e distaccato. Per lui non servivo ad altro che a lavare, stirare e pulire.
Dopo il primo mese sono iniziati i rimproveri, poi gli schiaffi. Qualsiasi cosa dicessi, o facessi, era una buona scusa per farmi del male. La pasta era troppo cotta? Uno schiaffo. C'era uno schizzo sullo specchio del bagno? Un altro schiaffo. Anche la cosa più banale era sufficiente ad indurlo a svilirmi e umiliarmi.
Mi sento sola, indifesa. Non posso combattere e non posso fuggire. Lui riuscirebbe sempre a trovarmi e a farmela pagare.
Si tratta della mia parola contro quella di un avvocato di successo.
Che senso ha dunque ribellarsi? 




venerdì 21 agosto 2015

Promozione 21/08: La vita reale può essere migliore di qualsiasi film


GRATIS
solo per oggi! 

Difficilmente da ciò che spesso siamo portati a credere, la vita non è costellata solamente da delusioni e amarezza, ma è ricca anche di momenti di felicità. Lo scopo che questa raccolta si prefigge è quello di dimostrare come spesso la vita possa davvero essere migliore di qualsiasi film.

I racconti presenti nella raccolta:
- Un anniversario speciale
- Tango a Parigi
- Una piccola luce nel buio
- Ricordi di Natale
- In un giorno di pioggia

All'interno della raccolta è anche presente un brevissimo racconto a carattere comico, intitolato "Parole insolite fra le onde".

giovedì 20 agosto 2015

Il Dono del Genio


Ho visto il mondo così tante volte e in così tante epoche diverse, che ormai ho davvero perso il conto di quanti anni in realtà io abbia. Sono su questa terra da secoli e secoli, e ancora non mi sono stancato di osservare il mondo. E' sempre affascinante vedere come, di volta in volta, i mortali si comportino di fronte a ciò che ho loro da offrire. Sono un genio come tanti, ma con una personalità veramente particolare. I tre desideri che posso esaudire non celano mai tranelli, come invece accade con i desideri dei miei colleghi. Io voglio davvero aiutare le persone, ma queste spesso pensano solo a se stesse e sprecano il mio dono in maniera sciocca ed egoistica.
Sono passato tra le mani di molti personaggi illustri, che non sempre mi hanno usato per fare del bene. Sono stato la causa di moltissime guerre e disastri naturali, come uragani o terremoti, e ho distrutto imperi e nazioni, il tutto per la bramosia di un solo uomo. Ogni volta che qualcuno abusa del mio potere, stanco e deluso dall'umanità, mi ritiro in un piccolo tempio sotterraneo, ma non sarò così sciocco da rivelarvi dove si trovi. Lì riposo e ogni cento anni ritorno a camminare nel mondo, alla ricerca di mortali a cui affidare i miei desideri. Il giorno in cui riuscirò a trovare qualcuno che esaudirà il giusto desiderio finalmente sarò libero.
Non pensiate che io sia migliore di voi, oh mortali, anzi... una volta ero umano anch'io e fu proprio un desiderio a trasformarmi in un genio. Ero stato avvisato che chiedere l'immortalità non era possibile, ma volevo vivere per sempre e, pieno d'invidia e di stupidità, espressi il desiderio di essere come quel genio che, per punizione, mi rese uguale a lui e tale sarei rimasto, finchè non avessi trovato una persona che esprimesse un desiderio puro di cuore.
In migliaia di anni non ho mai trovato nessuno che fosse degno di ciò e non mi sembra che con il passare del tempo la situazione stia migliorando. L'umanità è sempre più concentrata su sé stessa da preoccuparsi di cosa sia realmente giusto. Tuttavia ogni volta non posso fare a meno di sperare di sbagliarmi.
Questa mattina mi sono svegliato dopo un sonno lungo cent'anni e sono uscito presto dal mio rifugio, desideroso di sgranchirmi un po' le gambe. Pieno di stupore ho continuato a girovagare guardando qui e là.
Le città ora sono così diverse da come le ricordavo, troppo piene di cemento e di enormi palazzi. Dove sono finite le piante e gli alberi che dipingevano il paesaggio? Svaniti, distrutti. L'uomo davvero non sa apprezzare le bellezze che lo circondano, ma è costantemente spinto dalla volontà di mettere le sue mani ovunque, di modificare, distruggere, edificare.
Proseguo il mio cammino immerso nei miei pensieri. É appena cominciata l'estate e c'è molta gente che gira per le strade. I loro vestiti, se quei pochi centimetri di stoffa posso essere definiti tali, sono veramente buffi e lasciano la pelle piuttosto scoperta. Schioccando le dita mi ritrovo abbigliato come loro, una canottiera bianca e un paio di pantaloni corti color cachi li posso anche accettare, ma queste strane scarpe tutte aperte proprio non le capisco. Mi domando come facciano a camminare con queste ai piedi. Ogni volta che faccio un passo rischio di perderle. Stavo appunto cercando di avviarmi verso il centro della città quando inciampai e caddi lungo disteso su un'aiuola.
«Tutto bene giovanotto? Si è fatto male?»
Alzai piano la testa, il viso paonazzo dalla vergogna, e risposi: «Tutto apposto, grazie».
«Dai Giovanni, dammi una mano che lo tiriamo su».
Sentii quattro mani robuste che mi sollevarono e mi rimasero in piedi. Una volta alzato li squadrai e li ringraziai. Si trattava di tre uomini sulla sessantina: quello alla mia sinistra, che mi aveva rivolto la parola, era alto e​ magro, con una camicia e dei pantaloncini azzurri, e mi scrutava da sopra gli occhiali da sole; quello al centro, invece, era un po' più basso e robusto e portava una polo rossa con dei pantaloni bianchi; quello alla mia destra, Giovanni presumo, aveva invece una camicia a fiori particolarmente bizzarra che stonava particolarmente con i suoi pantaloncini gialli a pois.
«Vi ringrazio» riuscii a mormorare con imbarazzo.
«Ma figurati» borbottò l'uomo con la maglia rossa «Vieni, qui vicino c'è un piccolo giardino con una fontanella, così potrai ripulirti».
«Grazie, molto gentili».
«Come ti chiami giovane? Non mi sembri di queste parti» mi domandò l'uomo vestito d'azzurro.
«Mi chiamo Ryg e no, non sono di queste parti» risposi continando a guardare per terra, tutto concentrato sul non perdere le mie stranissime scarpe.
«Ryg, eh? Un nome davvero singolare. No, non l'avevo mai sentito» mi disse lui.
«Eh, cosa vuoi Cosimo, al giorno d'oggi le donne preferiscono chiamare i propri figli con nomi strani piuttosto che ricordare i loro nonni o i loro genitori» esclamò imbronciato l'uomo con la maglia rossa.
«Scusa la nostra maleducazione, non ci siamo presentati: io sono Cosimo, quello con l'espressione perennemente corrucciata è Girolamo, mentre lui è Giovanni».
«Molto piacere».
«Eccoci qua Ryg, vieni. Meglio lavare sotto l'acqua quella canottiera, è tutta sporca di terra».
Ryg osservò un momento i tre uomini che erano stati così gentili con lui. Forse loro sarebbero stati la sua liberazione. In fondo, con qualcuno doveva pur tentare, erano le regole, quindi perchè non con loro che gli avevano dimostrato tanta gentilezza?
«Non ce n'è bisogno miei cari signori» esclamai.
«Come no? Guarda che macello hai combinato» sbottò Girolamo.
«Non dovete preoccuparvi», continuai, «sono un genio e ho il potere di esaudire tre desideri, uno per ciascuno di voi».
«Ossignore, deve aver battuto la testa quand'è caduto» disse Giovanni battendo le mani.
«E' normale che non mi crediate, quindi vi darò una piccola dimostrazione» e, semplicemente schioccando le dita, feci sparire non solo la macchia di terra, ma anche quegli strani indumenti che al giorno d'oggi la gente ama indossare, rimettendo al loro posto i miei soliti abiti: pantaloni larghi, ciabatte e turbante, avete presente, no? La classica divisa da genio.
Mi sarebbe piaciuto immortalare la faccia sgomenta di quei tre, i loro occhi spalancati e la bocca leggermente aperta dallo stupore, ma, se avessi fatto apparire uno di quei strani apparecchi che voi mortali chiamate smartphone, probabilmente li avrei visti darsela a gambe di corsa.
«Che mi venga un colpo» esordì finalmente Cosimo «avete visto ragazzi?»
Gli altri due, ammutoliti, annuirono in risposta.
«Sei davvero un genio?» domandò Giovanni.
«Certo», mi affrettai a rispondere, «e avete a disposizione tre desideri. Ricordate però che ci sono delle regole, non potete diventare immortali, governare la terra oppure far innamorare di voi una donna».
Non appena ebbi terminato la frase subito quei tre si misero a parlare contemporaneamente su quale desiderio esprimere:
«Ah, io chiederò al genio di diventare straricco, così potrò fare quello che voglio e avere tutte le donne che voglio» sentenziò Girolamo.
«Io invece un bellissimo e lussuosissimo yacht» disse Giovanni.
«Giovanni sei proprio un'idiota» lo rimproverò Girolamo «se diventi ricco puoi comprarti tutti gli yacht che vuoi».
«Non ti azzardare a darmi dell'idiota, brutto asino che non sei altro» replicò Giovanni.
Girolamo e Giovanni iniziarono subito a litigare, passando da un insulto all'altro e alzando il tono di voce, mentre Cosimo cercava inutilmente di calmarli, fino a quando, frustrato, urlò: «Vorrei che la smetteste di parlare!» e fui quindi costretto ad esaudire il suo desiderio.
Allibito, Cosimo guardò i suoi due amici che continuavano a muovere la bocca senza emettere alcun suono e si voltò a guardarmi.
«Perchè?» mi chiese cautamente.
«Hai espresso un desiderio» risposi candidamente incrociando le braccia sul petto.
«No, non l'ho fatto».
«Sì, invece. Hai detto "Vorrei"».
«Ma... ma è assurdo, falli ritornare com'erano» obiettò, pestando un piede per terra.
«Non posso, sono le regole. Se vuoi che ritornino come prima, non hai che da desiderarlo».
Cosimo mi guardò stupito e iniziò spostare lo sguardo da me ai suoi amici, come se stesse riflettendo sulla possibilità di tenere gli altri due desideri solo per sé. Poco dopo, sospirando disse: «Vorrei che tornassero come prima».
Appena Giovanni e Girolamo riebbero voce iniziarono subito a scagliare contro di me la loro ira:
«Maledetto genio. Volevi imbrogliarci» iniziò a sbraitare Girolamo.
Si erano già dimenticati di avere ancora un desiderio a disposizione, troppo presi a urlarmi contro, mentre Cosimo se ne stava in disparte ad osservare la scena. Continuarono per circa mezz'ora a ricoprirmi di insulti e a urlare adirati a squarciagola e, senza pensare, Giovanni espresse così il loro ultimo desiderio, mentre Cosimo, accortosi troppo tardi di ciò che l'amico stava per fare, cercava invano di tappargli la bocca:
«Vorrei non averti mai incontrato, farabutto».
E fu così che mi ritrovai catapultato davanti ai gradini del mio rifugio, mentre Cosimo, Giovanni e Girolamo lentamente perdevano ogni ricordo di ciò che avevano visto e il mio volto scomparve dalla loro memoria.
Affranto dall'ennesimo fallimento, scesi lentamente i gradini e raggiunsi la sala dove la mia cara e amata lampada mi attendeva. Questa volta avevo seriamente creduto di aver trovato le persone giuste, ma mi sbagliavo. E' proprio vero quel famoso detto che dice che non è tutto oro quel che luccica. Dovrò fare più attenzione la prossima volta e osservare meglio le persone che mi circondano, invece di dare subito la mia fiducia al primo che mi offre una piccola gentilezza. Sono stato sciocco, lo riconosco. Mi sono fatto acceccare dalla voglia di essere libero.
Mi dissolvo in una nuvola di fumo ed entro all'interno della mia lampada. Sono così stanco, ho bisogno di riposare. L'ultima cosa che riesco a pensare prima di addormentarmi è che la prossima volta andrà meglio.

mercoledì 19 agosto 2015

Il Killer di Streghe

Questo racconto è rimasto sul mio computer per quasi due anni, perché non riuscivo a trovare il modo per proseguire la narrazione. Non avevo alcuna idea perciò un giorno ho deciso di metterlo su 20Lines nella speranza che qualcuno mi aiutasse a proseguirlo. Per questo motivo voglio ringraziare Eleonora, che con il suo aiuto mi ha permesso di continuare e terminare questo racconto. Qui sotto ho riportato le prima tre parti di questa storia. 
Come sempre vi auguro una piacevole lettura!!!

Il Killer di Streghe


Helena correva a perdifiato per le vie della città, sotto la pioggia che da giorni bagnava incessantemente la città. Era stanca, il respiro affannato, ma sapeva di non potersi fermare nemmeno un istante se voleva sperare di arrivare in tempo.
Milena, una giovane ragazza, che apparteneva da poco alla sua congrega, era in grave pericolo. Poteva percepire distintamente la sua presenza, ma non capiva bene in quale punto della città si trovasse. Stava setacciando velocemente i quartieri di quella zona cercando disperatamente la ragazza. Quando arrivò in un piccolo vicolo semibuio vide un’esile figura accasciata a terra.
Helena si avvicinò al corpo, voltandolo piano con la punta del piede. Il sangue gocciolava dal corpo inerme della giovane per poi riversarsi sull’asfalto, mentre il cuore, più flebile d’un leggerissimo battito d’ali, lentamente cessava di battere. La pioggia scrosciante lavava via il sangue che usciva ancora dallo squarcio che aveva nel petto.
Si accovacciò esitante, il mantello completamente zuppo incollato al corpo, cercando di verificare l’entità delle ferite della ragazza. Sbuffò per l’irritazione quando, controllatole il polso, s’accorse che il suo cuore ormai taceva del tutto.
«Maledizione!» - esclamò mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia. Milena era la più piccola della congrega, non aveva nemmeno diciotto anni e tutti le erano particolarmente affezionati. Era una ragazza semplice e dolce e lei era arrivata troppo tardi per poter salvarle la vita. Era già la settima vittima in un mese. Qualcuno stava dando assiduamente la caccia ai membri della loro congrega: la Congrega delle Ombre, la più potente congrega mai esistita, temuta da ogni demone della Terra. 
Accarezzando il volto della piccola Milena le scostò dolcemente una ciocca di capelli biondi dal viso. Restò lì per altri due minuti, poi si alzò delicatamente e si diresse verso la parte settentrionale della periferia della città, nella parte più remota ed oscura della foresta che la circondava, dove si tenevano le riunioni dei membri più anziani della congrega. Sebbene avesse solo ventitré anni e fosse estremamente giovane per i loro canoni, era stata ammessa al Consiglio perché era molto dotata ed estremamente abile. Nessun’altro era in grado di manipolare gli elementi come lei. Sapeva far cose che gli altri nemmeno si sognavano. 

Era ormai notte fonda quando raggiunse la radura dov’erano già presenti i membri della congrega. Al suo arrivo si voltarono tutti, nessuno escluso, i volti pieni d’ansia e preoccupazione. Lei abbassò il cappuccio con la mano destra, il capo chino e gli occhi bassi. Dal fondo della radura si sentì un forte singhiozzo. Tati, il capo della congrega, si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
«Avrei potuto aiutarla, se solo fossi arrivata prima.» - disse Helena, la voce rotta dalla tristezza.
«Non avresti potuto far nulla, non torturarti con i sensi di colpa.» - la rassicurò Tati, dopo averle letto nella mente quello che aveva visto.
«Forse se…» - bisbigliò.
«Non è colpa tua.» - ripeté.
«Questo non mi fa sentire meglio.»
«Ora vieni, la riunione è cominciata ormai.»
Si unirono al resto del consiglio, seduto in circolo sui ceppi degli alberi. Alcuni discutevano animatamente sul problema, altri giuravano vendetta e urlavano contro coloro che volevano prender tempo per identificare l’assassino, mentre altri ancora, in silenzio, osservavano il terreno con le lacrime agli occhi. Fu proprio nel momento di maggior confusione che nella radura piovvero dardi infuocati che esplodevano al minimo contatto. Molti caddero senza aver nemmeno il tempo di reagire, altri vennero feriti mentre il resto innalzavano scudi e barriere difensive attorno a sé. Helena, sfuggita alla presa di Tati, si spostò verso il bordo della radura, tentando qualche incantesimo che ostacolasse qualcuno degli attentatori.​  

martedì 18 agosto 2015

Parole Insolite fra le Onde

Amore mio,
mi dispiace ma credo proprio che stasera dovrai prepararti la cena da solo. Purtroppo, mentre stavo guidando per tornare a casa, l’auto è precipitata nella laguna. Ti prego di non preoccuparti, io sto bene, la macchina meno.
Fortunatamente sono riuscita ad uscire dall’auto, che ora giace sul fondo della laguna, ma, poiché a causa della nebbia non riuscivo a vedere ad un palmo dal naso, non sono riuscita a raggiungere la strada, ma ho nuotato per qualche ora (beh… diciamo che per lo più mi sono lasciata trascinare dalla corrente) finché non sono approdata in questo isolotto dal quale ti sto scrivendo.
So che un messaggio dentro una bottiglietta di plastica non è il massimo del romanticismo, ma nella borsetta non avevo nient’altro da poter usare. Le uniche cose che si sono salvate sono la bottiglia e un pacchetto di crackers. Spero di trovare qualcosa di commestibile in questa piccola isola che non ho ancora avuto modo di esplorare, perché sai quanto io detesti mangiare pesce.
Ho cercato di dare una degna sepoltura al mio povero smartphone, visto che il sale l’ha irrimediabilmente rovinato. Ho usato delle tessere di alcuni supermercati per scavare una piccola buca (l’ho sempre detto che un portafogli pieno di tessere plastificate doveva avere una qualche utilità prima o poi). Mentre stavo scavando ho rinvenuto un piccolo astuccio di legno intarsiato, con dentro una penna e un foglio di carta che mi hanno permesso di scriverti.
Ora, se non ti è venuto un infarto dopo aver letto la triste fine che ha fatto la nostra macchina nuova, ti chiedo per favore di trovarmi e venirmi a prendere in qualche modo.
Nel frattempo, nel frigo ci sono un paio di bistecche e dell’insalata che ho preso l’altro giorno al supermercato. L’insalata l’ho lavata stamattina, mentre per le bistecche, basta semplicemente mettere la bistecchiera sul fuoco, aspettare qualche minuto e mettercele sopra. Ricordati solo di salarle da entrambi i lati e di non bruciarle. Mi raccomando, non ti azzardare a fare un salto in pizzeria stasera.
Mi manchi davvero molto.
Da un isolotto da qualche parte in mezzo alla laguna di Venezia,
con affetto,
Roberta


lunedì 17 agosto 2015

Cuore di Vampiro

Cuore di Vampiro
Ciò che amiamo ci rende migliori

Essere un vampiro nel XXI secolo è un vero e proprio inferno, e questo Tyler lo sapeva fin troppo bene. Nutrirsi in quest’epoca è veramente un’ardua impresa: quasi mai la gente cammina da sola di notte e la presenza di telecamere e testimoni ovunque di certo non aiuta.
Aveva ormai perso il conto delle volte in cui era stato etichettato come stupratore, ladro o assassino, quando l’unica cosa di cui aveva bisogno era un po’ di sangue per sopravvivere. Non aveva scelto questa vita. Era stato trasformato da un vampiro cinque mesi prima: un feroce assassino, che si era introdotto in casa sua con l’inganno, aveva ucciso sua moglie e si era divertito a condannarlo alla sua stessa oscura natura. Solo sua figlia era riuscita a salvarsi, poiché era rimasta a dormire a casa di un’amica. A soli cinque anni la piccola si era ritrovata da sola, senza alcun parente, ed era stata affidata ad un’altra famiglia, ma Tyler non aveva idea di dove si trovasse né voleva saperlo. Starle lontano era la cosa migliore per entrambi. Non si sarebbe mai perdonato se le avesse fatto del male.
La fame, in quel momento, tornò a farsi sentire. Tyler provò il solito senso di disgusto e ripugnanza verso sé stesso e ciò che era diventato. Si odiava profondamente, ma non riusciva a trovare una via d’uscita. La morte non era un’opzione contemplabile. Poteva solo continuare questa vita nel miglior modo possibile. Sempre che ne esistesse uno.
Per il momento si limitava a nutrirsi di criminali, che di certo non mancano mai, ma doveva pur sempre far attenzione a non essere visto. Era costretto a vivere nell’ombra, non solo perché era un vampiro, ma anche perché ingiustamente accusato dell’omicidio della moglie.
Tyler continuò a camminare per le vie buie della città finché la sete non fu predominante. Guardandosi attorno, vide che la finestra del terzo piano di una piccola palazzina lì vicino era socchiusa. Senza rendersene conto Tyler corse in quella direzione, si arrampicò fulmineo sulla grondaia e aprì la finestra senza fare alcun rumore. Seduto a cavalcioni sulla finestra, si leccava avidamente le labbra osservando la stanza. Non era una camera molto grande: c’era un piccolo lettino sulla destra, coperto da una trapunta bianca e rosa. Una bambina di quattro o cinque anni dormiva beatamente sotto le lenzuola. Tyler poteva vedere il suo corpicino alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro. Non poteva vedere il suo viso perché era girata dall’altra parte, ma poteva vedere la folta massa di ricci neri arruffati che spuntava dalle coperte.
Rimase immobile a fissarla, gli occhi sbarrati dal terrore e dall’angoscia. No, non poteva essere la sua piccola Charlotte, eppure la somiglianza bastò a fermarlo. La sete continuava a bruciargli la gola, ma resistette. ‘Non posso continuare così’, si disse scendendo dalla finestra e rimettendosi in cammino. Un’unica domanda gli martellava in testa e nel cuore: ‘E se fosse stata mia figlia?’
Il solo pensiero di poterle fare del male, ora o in un prossimo futuro in cui non sarebbe stato in grado di riconoscerla, gli attanagliava le viscere. Ogni padre desidera per i suoi figli solo il loro bene, e farebbe di tutto pur di tenere ogni male lontano da loro. E questo era proprio quello che Tyler voleva fare.  
A passi lenti uscì dalla città e si mise al riparo all’ombra di un piccolo boschetto, proprio mentre il sole stava iniziando a sorgere. Tyler si voltò in quella direzione, osservando il sole che illuminava lentamente le strade e i cui raggi si fermavano al limitare del boschetto. Ormai la sua decisione era presa. Un passo dopo l’altro uscì dall’ombra e subito la sua pelle iniziò a bruciare. Il dolore era lacerante, ma doveva resistere. Solo pochi istanti e avrebbe liberato il mondo da uno dei suoi tanti pericoli. Sua figlia sarebbe stata al sicuro, o, per lo meno, al sicuro da lui. Chiuse gli occhi sperando che quella sofferenza avesse presto fine.
All’improvviso Tyler si sentì scaraventare violentemente all’indietro. Aprì gli occhi e si accorse di essere finito su di un ammasso di cespugli all’ombra del boschetto, mentre la sua pelle coperta di bolle e bruciacchiature si stava lentamente rimarginando. Si alzò lentamente, gli occhi puntati verso una misteriosa figura di donna appoggiata a uno degli alberi che lo circondavano. Non riusciva a vederla chiaramente perché si era messa controluce e quindi non era in grado di distinguerne i lineamenti.
«Che diavolo credevi di fare?» domandò lei altamente seccata, avvicinandosi così che lui potesse vederla. Era una donna molto giovane, sulla ventina. Aveva gli occhi verdi e dei lunghi capelli castani legati da un foulard nero in una morbida treccia. Era completamente vestita di nero: una lunga canottiera che le arrivava ai fianchi e dei pantaloni di pelle che le aderivano perfettamente alle gambe.
«Niente che ti riguardi! Chi diavolo sei tu? Cosa vuoi da me?» rispose Tyler.
«Non è suicidandoti che salverai tua figlia» lo sorprese lei, guardandolo intensamente negli occhi.  
«Come fai a sapere che volevo togliermi la vita e tenere mia figlia al sicuro?» chiese Tyler inquieto, distogliendo lo sguardo.
«Beh… quello che stavi facendo era abbastanza ovvio, no?» sbottò strappandogli lo spettro di un sorriso.
«Come fai a sapere di mia figlia?»
«E’ un segreto.» e fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo. Tyler cercò di afferrarle un braccio per ribattere, ma appena la sua mano si posò sulla sua pelle venne ricoperta dalle fiamme e fu costretto a ritrarla all’istante.
«Scusami.» mormorò dispiaciuta, tornando a guardarlo. «Mi hai presa alla sprovvista.»
«Come cavolo hai… voglio dire, come hai fatto?» e si guardò la mano che ritornò subito normale.
«Oh, e va bene. Sono una strega, contento?!» e si allontanò di qualche metro per sedersi su di un masso lì vicino, con il mento appoggiato sulle braccia incrociate sopra le ginocchia e gli occhi verdi che lo fissavano incuriositi.
«Dimostramelo.»
«Perché non l’ho appena fatto?» rispose imbronciata.
«Cos’altro sai fare? Chi sei tu?» insistette Tyler. Lei si alzò e muovendo appena la mano destra Tyler venne scagliato brutalmente una decina di metri indietro, dritto contro una grossa quercia.
«Sai, non sono in tanti quelli che hanno il coraggio di parlarmi così, e quei pazzi che ci hanno provato sono morti da un pezzo.» e si avvicinò a lui, gli tese la mano e l’aiutò a rimettersi in piedi. 
«Comunque sia mi chiamo Corinne e vado a caccia di demoni e vampiri. E tu sei fortunato caro Tyler. Mi stai simpatico.»
«Come sai il mio nome?»
«Leggo nel pensiero, tra le altre cose. Non lo faccio sempre, la trovo una cosa alquanto maleducata. Mi serve solo per proteggermi.»
«Ma se vai a caccia di vampiri perché non mi hai lasciato morire?»
«Mi hai incuriosito. Sei un vampiro particolarmente strano, molto… umano» e gli sfiorò il naso con la punta dell’indice e si voltò «Solitamente i vampiri passano le notti a caccia di prede e si rintanano appena spunta il sole. Invece tu eri lì fuori a lasciarti morire. Volevo scoprire perché.»
«E ora che l’hai scoperto? Mi ucciderai tu stessa?» domandò incrociando le braccia sul petto.
«Ucciderti? No, no, no, non ne ho nessuna intenzione. Anzi, volevo aiutarti» e lo fissò con uno sguardo divertito e sincero al tempo stesso. «Come? Beh, togliendoti la vita non salverai di certo tua figlia. Ci sono altri vampiri là fuori pronti ad uccidere chiunque desiderino. Noi possiamo fare la differenza. Così ci saranno meno pericoli e tua figlia potrà vivere una vita lunga e tranquilla.»
Tyler era estremamente incuriosito da Corinne. Era veramente una ragazza molto strana e, sebbene fosse una completa sconosciuta, si accorse che aveva ragione. La sua morte non sarebbe servita a nulla, non avrebbe reso il mondo un posto più sicuro. Esistevano moltissimi vampiri, e il loro numero era sempre in crescita. Forse poteva dar loro la caccia. Forse poteva fare la differenza.
«Certo che puoi fare la differenza.» esclamò Corinne sorridendo.
«Ti spiacerebbe uscire dalla mia testa?» fulminandola con lo sguardo.
«Sì, scusa. Non posso farne a meno. Ti ho appena incontrato, devo sapere se posso fidarmi. Allora ci stai?» e gli tese la mano destra. Tyler esitava, mentre il suo sguardo si spostava continuamente dalla sua mano al suo viso.
«Te l’ho detto, mi hai presa alla sprovvista prima. Non ti brucerò di nuovo. Promesso» chiarì Corinne imbarazzata. «Sono un’incendiaria. È nella mia natura dar fuoco alle cose. Per questo sono un ottimo cacciatore.»
Tyler strinse la sua mano e constatò che questa volta non bruciava.
«Cosa dovrei fare ora?»
«Vieni con me. Posso addestrarti a combattere gli altri vampiri e aiutarti a nutrirti senza uccidere persone innocenti.» e si avviò verso il folto del boschetto.
«Va bene, ci sto.» sorrise, pensando che in fondo quella strega gli piaceva, e si diresse nella sua direzione.
«Anche tu mi piaci, vampiro.» ridacchiò lei più avanti.
Tyler si bloccò imbarazzato. D’ora in poi avrebbe fatto meglio a stare attento a ciò che pensava.

sabato 15 agosto 2015

Anteprima [1]

Dopo un'estate passata senza riuscire a scrivere nemmeno una riga, finalmente ho ritrovato un po' d'ispirazione e ho iniziato l'ennesimo racconto di cui vi lascio una piccolissima anteprima che spero gradirete:


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Una notte nell'aldilà
 
«Non può stare qui, signorina. Stiamo chiudendo».

Clara alzò la testa seccata, abbandonando la piacevole lettura nella quale aveva trovato rifugio quel pomeriggio. Era una storia di promesse infrante, amori traditi e amori ritrovati; una storia ricca di colpi di scena ma anche elementi fantastici; insomma, una di quelle storie che riescono a catturare l'attenzione del lettore sin dalla prima riga, incatenandolo al libro finché non arriva all'ultima parola dell'ultima pagina.

Incontro al Chiaro di Luna

Incontro al Chiaro di Luna è un racconto scritto a più mani, perciò vi lascio qui solamente l'introduzione che ho scritto io e se vi piace potrete continuare a leggere il resto della storia direttamente dal sito di 20Lines. Ci tengo a ringraziare i vari autori che mi hanno dato una mano ad elaborare questa storia.


 Incontro al Chiaro di Luna


Non v’è al mondo nulla di più bello e romantico di una notte di plenilunio. Una volta al mese, quando i miei genitori stanno dormendo, esco dalla finestra e mi siedo sul tetto di casa ad osservare quella magnifica sfera candida che illumina la notte, tingendo il mondo di una luce nuova, diversa. La luna mi ha sempre attirata, fin da quando ero piccola. Astronomia, infatti, è da la mia materia preferita. Sfortunatamente mia madre ha sequestrato il mio telescopio quando ha scoperto che la sera mi arrampicavo di nascosto sul tetto. Le ho promesso, anzi no, le ho giurato che non avrei più fatto una cosa così irresponsabile e pericolosa, tranne nelle notti di plenilunio, ma questo ovviamente a lei non l’ho detto.
Questa notte il cielo è sereno e sembra quasi che la luna e le stelle siano più luminose. Vorrei poter restare tutta la notte ad osservarle, ma domani purtroppo c’è il compito di matematica e non posso permettermi di essere stanca. Frequento l’ultimo anno di liceo, e non posso prendere altri brutti voti quest’anno.
Faccio per alzarmi quando improvvisamente mi sento osservata. Guardandomi attorno noto due enormi occhi gialli che mi osservano da una siepe del giardino dei vicini. Il chiarore lunare è così intenso stanotte che riesco chiaramente a distinguere la sua figura. Non è un uomo. È un lupo, e sta guardando proprio me.

Anche la sera dopo, e quella dopo ancora, il lupo era lì a fissarmi.
Non so come, né perché, ma ho l’assoluta certezza che mi stia aspettando.

venerdì 14 agosto 2015

Buon Ferragosto

I racconti che ho postato fino ad ora sono racconti scritti all'età di diciotto anni e mi rendo conto che alcuni avrebbero bisogno di una bella revisione però ci tenevo a postarli così com'erano in origine e chissà che presto non li riprenda seriamente in mano per farne qualcosa di più. Non si può mai dire!

Ci tengo ad augurare a tutti un felice weekend e, per festeggiare, venerdì 21 agosto il mio ebook, La vita reale può essere migliore di qualsiasi film, è in promozione su Amazon.



Difficilmente da ciò che spesso siamo portati a credere,
la vita non è costellata solamente da delusioni e amarezza,
ma è ricca anche di momenti di felicità.
Lo scopo che questa raccolta si prefigge è quello di dimostrare
come spesso la vita possa davvero essere migliore di qualsiasi film.




Buon Ferragosto a tutti!!!

giovedì 13 agosto 2015

Figlia della Natura

C’era una volta una minuscola casupola, composta per lo più da vecchie assi di legno sgangherate, attaccate con qualche chiodo arrugginito trovato chissà dove. In questa baracca vivevano due contadinotti che non desideravano altro che un figlio, ma purtroppo la buona sorte aveva smarrito il loro indirizzo.

Dopo anni di tentativi la moglie del contadino, stanca di non riuscire a diventare madre, decise di donare la loro unica capretta ad una maga che abitava nel villaggio vicino perché le desse un consiglio. La maga l’accolse benevolmente e con mille moine, ascoltando la richiesta della povera donna e pensando a quanto potesse ricavarne dalla vendita dell’animale che le aveva appena offerto. Dopo aver esposto il suo problema, la contadina attese pazientemente il responso della maga, che le consigliò di recarsi al limitare del bosco, dietro la Cascata della Luna dove avrebbe trovato il luogo in cui riposano gli spiriti della natura, e di portare con sé un piccolo fantoccio di stoffa con una rosa bianca cucita sul petto.

Quando il marito tornò a casa, la contadina gli saltò al collo abbracciandolo stretto e raccontandogli tutto quello che la maga le aveva detto. Egli rimase un po’ dubbioso, ma l’amava così tanto che pur di vederla felice per un momento decise di assecondarla. L’indomani, si recarono alla cascata e, quando la luna arrivò a riflettere la sua magnificenza sulle sue acque, attraversarono la cascata ritrovandosi in una caverna incantevole e luminosa, piena di piccole lucine danzanti. Rimasero entrambi stupefatti e increduli. La donna si affrettò a tirar fuori dalla borsa il fantoccio con la rosa, e lo depose sul terreno. Alcuni spiriti si avvicinarono curiosi, ma ve ne era uno, più curioso degli altri, che avvicinatosi troppo, sfiorò la rosa bianca, e subito la caverna s’illuminò di una luce intensa. Quando i due sposi aprirono gli occhi, videro che al posto del fantoccio c’era ora una dolce neonata dai capelli color oro pallido e le guance rosee. Era la più bella bambina che potesse esistere, i cui occhi, di un incredibile azzurro chiaro, ammaliavano chiunque. La contadina la prese immediatamente fra le braccia piangendo di gioia assieme al marito. Finalmente la fortuna aveva guardato dalla loro parte.

Gli anni passarono e la piccola crebbe in salute e bellezza sotto gli amorevoli occhi dei suoi genitori. Tuttavia era una bambina particolare, che s’intratteneva poco con i bambini della sua età, preferendo rimanere ore e ore nel bosco a giocare con gli animali e ad osservare le piante. Inizialmente la madre pensò che fosse timida, ma più passava il tempo e più si preoccupava, perché la bambina aveva iniziato a passare troppo tempo da sola.
All’età di sette anni la bambina iniziò a diventare taciturna e una sera senza alcun motivo non fece ritorno a casa. I genitori, in ansia nel non vederla ritornare, decisero di cercarla nel bosco e la trovarono seduta su un masso che si fissava le mani. La madre stava per rimproverarla quando vide che sul faccino della bambina si notava una profonda tristezza:
- “Cosa c’è tesoro mio? Ci hai fatto preoccupare moltissimo.”
- “Io non esisto.”
- “Ma come non esisti, sciocchina.”
- “Io non esisto. Posso vedere le mie mani e i miei piedi, ma dentro sono vuota.”
- “Cosa vuoi dire bambina mia?”
- “Non sono come gli altri bambini. Io sono diversa, ma non so in che modo.”
- “Non dire assurdità.”
- “Io non dovrei essere così. Le mie ali, dove sono le mie ali mamma? Ho bisogno di volare. Perché non posso volare?”
La madre guardò tristemente il marito, chiedendogli che fare. Il pover’uomo, distrutto dal dolore di fronte allo smarrimento di colei che aveva amato e trattato come sua figlia, le raccontò quello che era accaduto anni prima e di come fosse venuta al mondo.
Più tardi egli si recò dalla maga, e senza tanti complimenti, minacciandola di denunciarla, si fece spiegare come restituire le ali alla bambina. Ritornato a casa, la condusse assieme alla moglie nel luogo in cui era stata creata e prima di lasciarli la piccola li guardo sussurrando:
- “Ti voglio bene mamma. Ti voglio bene papà.”
E dopo un folgorante raggio di luce il fantoccio di stoffa ricadde sul terreno, e un piccolo spirito andò a raggiungere i suoi compagni che festeggiarono il suo ritorno.
La donna piangendo raccolse la bambola e i suoi occhi si soffermarono sulla rosa che non era più bianca, bensì rossa. Rossa d’Amore.

mercoledì 12 agosto 2015

Bacio di Sangue

 
Isabelle emerse lentamente dal suo caldo e confortevole bozzolo di piume bianche. Il vento gelido le scuoteva le ali che ancora l’avvolgevano stretta. Aprì un occhio piano piano e allargò un pochino le ali, quel tanto che le bastava per sbirciare fuori. Il vento le sferzò il viso. ‘Troppo freddo’ – pensò rinchiudendosi in fretta in se stessa.
Era terribilmente stanca di quella continua fuga. Ogni notte doveva pensare solo a scappare da Lui, perché se l’avesse presa, per lei non ci sarebbe stata alcuna speranza di sopravvivenza.
Le sarebbe piaciuto rimanere lì, nell’oscurità e nel tepore che il suo guscio le offriva, ma il tramonto era vicino e presto Luchas avrebbe ricominciato la sua caccia.
Luchas. Un angelo come lei, dannato da una strega malvagia, costretto a nutrirsi solo del sangue e della carne delle sue povere vittime. Di giorno assomigliava all’angelo che era stato un tempo, i folti capelli neri che gli arrivavano appena sotto le orecchie, e quei suoi meravigliosi occhi grigi che ammaliavano chiunque e che le avevano rubato il cuore. Durante la notte, invece, il suo aspetto era ben diverso, simile a un demone infernale. La sua pelle si colorava d’un rosso fuoco, ed era tesa e resistente, mentre i capelli lasciavano il posto a due enormi corna d’ariete; sulle dita comparivano lunghi e pericolosi artigli e i denti divenivano più affilati di un rasoio, fedeli strumenti per lacerare la carne. Le sue ali perdevano tutte le piume, come un albero che perde le foglie con i primi venti autunnali, ricoprendosi di una spessa membrana, molto più simile a un pipistrello che a un delicato cigno. Il suo corpo, da esile e sinuoso, s’irrobustiva diventando possente e muscoloso. La cosa che più la spaventava erano i suoi occhi, profondi abissi color rosso sangue, senza iridi né pupille. Al solo pensiero un brivido di terrore scese lungo la schiena.
‘Per quanto tempo ancora’, si chiese, ‘sarebbe stata in grado di sfuggirgli?’
Finché non fosse riuscita a fargli perdere le sue tracce, nascondersi era completamente inutile. Poteva solo cercare di essere più veloce di lui. Era l’unico vantaggio che aveva: la velocità. La sua mole muscolosa e pesante, infatti, lo rendeva micidiale, ma anche più lento.
Isabelle spalancò le ali di scatto e aprì gli occhi. Il tramonto era ormai prossimo e doveva affrettarsi. Fece per alzarsi ma Luchas, giunto lì di soppiatto mentre lei rifletteva, le afferrò un braccio impedendole di muoversi.
“Resta con me. Non vorrai mica perderti questo bel tramonto così romantico e lo spettacolo che segue.” – disse con un sorriso spietato dipinto sul volto.
Il corpo di Isabelle s’irrigidì in risposta, senza che lei potesse dissimularlo. Luchas, che se ne era accorto, senza smettere di sorridere le lasciò andare il braccio dicendo: “Va pure. Riuscirò comunque a raggiungerti.”


Luchas rimase seduto a fissare il tramonto mentre con l’orecchio teso ascoltava Isabelle allontanarsi. Lei lo affascinava davvero molto. Non erano i suoi occhi verde chiaro o i lunghi capelli castani che le accarezzavano dolcemente la vita a incantarlo. Quello che lo attirava era il suo carattere, testardo e coraggioso. La inseguiva da più di un mese, e non era ancora riuscito a catturarla. Forse questa volta ci sarebbe riuscito. Doveva assolutamente bere il suo sangue. Solo il sangue di un angelo avrebbe potuto liberarlo.
La notte era ormai giunta quando un dolore lancinante gli attraversò tutto il corpo intensificandosi man mano che saliva lungo la schiena e arrivava alla base del capo. Luchas si contorse in preda agli spasmi urlando. La sua pelle si tese come un elastico e si strappò, cadendo a brandelli sul terreno, e rivelando al suo posto uno spesso strato di pelle rossastra. Non ci volle molto perché la trasformazione avesse fine e il suo corpo smettesse di contorcersi. Col passare del tempo il dolore non diminuiva. Ogni giorno il medesimo tormento per chissà quanto tempo ancora. Luchas tirò indietro la testa per tendere i nervi del collo, cercando di dimenticare ciò che era appena avvenuto.
Aprì lentamente gli occhi, si sciolse le spalle e scrutò la foresta intorno a sé. Il primo pensiero che riuscì a formulare fu che era terribilmente affamato. Da giorni ormai digiunava per poterla catturare e nutrirsi di lei, pensando che il desiderio di carne lo rendesse più forte. La fame era quasi incontrollabile, ma rendeva i suoi sensi ancora più vigili e acuti. Si voltò rapido nella direzione in cui l’aveva sentita fuggire. Il suo odore era inconfondibile, profumava di miele e orchidee. Si fiondò veloce fra gli alberi, seguendo la sua scia che zigzagava a destra e a sinistra, tornava indietro e poi continuava diritta.
Passarono ore prima che Luchas si rendesse conto che in realtà stava solo continuando a girare in tondo. Era un tranello ben architettato. Fermandosi un momento a riflettere si accorse che l’odore di Isabelle era molto forte perché vi era passata più di una volta per confondere la pista. Facendo molta attenzione, poteva sentire una piccola scia di profumo che saliva verso l’alto, e che prima, troppo affamato per rendersene conto, non era riuscito a percepire. Come un’idiota aveva seguito ciecamente la scia più forte senza nemmeno controllare se ve ne fossero altre. Luchas ringhiò schiumante di rabbia. Era caduto in quel tranello come un povero sciocco e questo lo faceva davvero infuriare. Non poteva sopportare di essere umiliato così.
Isabelle doveva aver disseminato il bosco di false tracce e poi aver spiccato il volo per allontanarsi il più possibile da lui, certa che il trucco avrebbe funzionato. Lo conosceva molto meglio di quanto lui avesse mai sospettato. Luchas annusò quella flebile scia. Con tutto quel vento sarebbe scomparsa in fretta. Si piegò sulle ginocchia e con una poderosa spinta saltò verso l’alto, muovendo rapidamente le ali per emergere da quella maledetta foresta.
Iniziò a disegnare un grande cerchio nel cielo, per cercare di trovare almeno una minima traccia. Fu per pura fortuna che dopo alcuni giri riuscì a individuare una leggerissima traccia del suo odore, trasportata dal vento che aveva appena cambiato direzione. Si lanciò immediatamente da quella parte, recuperando il tempo perduto sbattendo ripetutamente le grandi ali. La ragione era ormai accecata dalla tremenda fame e dal desiderio di carne. Dopo appena un’ora di volo riuscì a scorgere Isabelle che continuava stremata e imperterrita a volare, senza nemmeno accorgersi che si trovava a poche centinaia di metri da lei.
Un soffio di vento portò alle sue narici un profumo invitante che proveniva dal limitare della foresta, ben diverso da quello di Isabelle. Troppo affamato per sfuggire a quella tentazione e ormai senza alcun controllo, con un verso disumano si gettò in picchiata verso quel profumo delizioso. Sentiva già il dolce sapore del sangue in bocca. Quando la giovane donna lo vide arrivare, cercò di urlare più forte che poté, ma fu del tutto inutile. Luchas piombò su di lei come un animale inferocito, sfigurando e lacerando il suo corpo con i denti. Non fu molto ciò che rimase di lei.
Isabelle nel frattempo, dopo essersi voltata a quell’urlo straziato, continuò a volare fino a che la stanchezza le impedì di proseguire oltre. Ormai esausta e con il respiro mozzato, si nascose in una piccola grotta, su di una montagna molto lontana da dove si era rifugiata la notte precedente. Si sedette nel fondo della caverna, dove l’oscurità era più fitta, e richiuse le sue ali attorno al suo corpo, come se quel piccolo involucro di piume potesse proteggerla dalla minaccia che la perseguitava.
Era quasi l’alba, ma quel giorno i raggi del sole non sarebbero riusciti a penetrare quelle grosse nuvole nere. L’ultimo pensiero prima di addormentarsi fu che se avesse piovuto ogni traccia del suo passaggio sarebbe stata cancellata.


Erano passate poche ore quando Isabelle si svegliò di soprassalto, dopo che si era addormentata sul pavimento di quella grotta. Appena cercò di alzarsi in piedi ogni muscolo del suo corpo, protestò. Era riuscita a sfuggirgli solamente perché era stata fortunata. ‘Fortunata?!’ – pensò, mentre le si riempivano gli occhi di lacrime. Come poteva definirsi fortunata dopo che qualcun altro era stato ucciso al suo posto? Sapeva bene che non avrebbe potuto salvare quella donna, Luchas si era avidamente gettato sopra di lei, uccidendola all’istante. Non avrebbe potuto raggiungerli in tempo. Eppure si sentiva tremendamente in colpa. Quante altre persone sarebbero state uccise ancora? A quel pensiero il suo cuore si gonfiò di dolore.
Ripensò per un momento a quando la strega aveva maledetto Luchas perché questi aveva rifiutato e deriso il suo amore. Accecata dall’odio, aveva lanciato un incantesimo che aveva reso il suo cuore nero come l’inchiostro, trasformandolo in un mostro avido di sangue. Ricordò perfettamente le parole della strega, ‘Solo il cuore di un Angelo può salvarti’.
Fu proprio ripensando a quelle parole che seppe cosa doveva fare. Non poteva ucciderlo, lo amava troppo, ma doveva porre fine a tutto questo ad ogni costo. Nessun altro doveva morire. Avrebbe fatto il necessario affinché nessun’altra goccia di sangue innocente venisse sparsa: avrebbe sacrificato se stessa. Non era forse questo il compito di un Angelo? Salvare e proteggere ogni più piccola forma di vita?
Si avviò verso l’uscita della caverna. Sebbene la fuga della notte scorsa l’avesse prosciugata di ogni energia, doveva trovare il modo per tornare indietro e cercare Luchas. Il tempo non era dei migliori. Anche se aveva smesso di piovere, le raffiche di vento erano troppo forti; volare era impensabile. Doveva quindi tornare indietro a piedi, fino al bosco in cui si era rifugiata il giorno prima, nella speranza di trovarlo. Le ci vollero parecchie ore per giungere sino al punto in cui Luchas si era nutrito qualche ora prima. L’erba era sporca di sangue misto a pioggia. Del corpo della donna erano rimaste solamente delle ossa sparse qua e là. Rimase impietrita da quella vista. Luchas l’aveva divorata come un animale; un demonio maledetto uscito dalle fauci dell’Inferno, ecco cos’era diventato. Isabelle radunò tutte le ossa che riuscì a trovare e le seppellì, così che non diventassero preda di qualche animale selvatico.
Quand’ebbe terminato, poco dopo mezzogiorno, riprese a camminare in direzione del bosco, quando Luchas l’afferrò inaspettatamente da dietro, bloccandole le braccia e le ali così che non potesse liberarsi, risollevandosi rapidamente verso l’alto.
“Sapevo che saresti tornata indietro prima o poi.” – le disse sorridendo – “Ma non immaginavo che l’avresti fatto così presto.”
“Qualcuno doveva pur rimediare a quello scempio.” – rispose mestamente lei senza tentare di liberarsi.
“Meno male che ci hai pensato tu.” – esclamò ironicamente. Non ottenendo alcuna risposta la strinse un po’ più forte: “Ma come siamo docili oggi.”
“Dove mi stai portando?”
“E’ una sorpresa.”
Isabelle notò il suo tono divertito. Non riusciva a vedere il suo viso, ma sapeva che godeva del fatto di averla colta alla sprovvista. Non aveva idea di dove la stesse portando, ma non tardò molto a scoprirlo. Poco tempo dopo, infatti, Luchas planò in una piccola radura nel bosco, vicino a dove aveva dormito due notti prima. Isabelle la riconobbe immediatamente: c’era passata diverse volte per confondere le sue tracce mentre tentava di sfuggirgli. A pochi metri da terra Luchas mollò la presa e lei, colta di sorpresa, cadde lunga distesa al suolo. Avvicinandosi le scagliò un calcio sul fianco destro, scaraventandola contro uno degli alberi che circondavano la radura. Isabelle alzò lo sguardo verso di lui e vide che sorrideva con freddezza. Di colpo quel sorriso si trasformò in una maschera di rabbia.
“Questo è per lo scherzetto che mi hai giocato l’altra notte. È stata una mossa davvero molto furba, ma non abbastanza.” - e, facendo qualche passo verso di lei, il suo tono divenne ira allo stato puro – “Credi davvero di poter fuggire per sempre da me?”
Isabelle percepì il dolore dietro quelle parole. Il dolore di un condannato. Nei suoi occhi vi si leggevano rabbia e disperazione. Avrebbe fatto di tutto per liberarsi di quella pena. Cercò di rialzarsi, ma lui le si avventò contro, afferrandola per la gola e sbattendola violentemente contro l’albero. Il colpo le tolse l’aria dai polmoni. Sebbene fosse convinta della sua scelta, di morire per ridargli la sua libertà, non poteva non avere paura.
“Dimmi che mi ami.” – sussurrò lui.
“No.”
“Pregami di non ucciderti, supplicami.” – e afferrata una pietra sufficientemente tagliente, ne appoggiò la punta sul petto di lei, premendola sulla pelle e facendola scorrere fin sotto il seno. Dalla ferita iniziò subito ad affiorare il sangue. Lui appoggiò le labbra sul petto di Isabelle, bagnandole con il suo sangue. Quando rialzò la testa, Isabelle lo osservò atterrita, consapevole di ciò che stava per accadere, ma Luchas, dopo aver visto il suo sguardo terrorizzato, avvicinò le labbra alle sue e la baciò. Non avrebbe mai potuto ucciderla. Non ora che aveva scoperto di amarla.
Quando riaprì gli occhi scoprì che Isabelle era sparita. Si voltò a cercarla affannosamente, ma lei non c’era più. Dall’altro lato della radura, su di un masso, sedeva invece la strega che l’aveva maledetto. All’improvviso capì tutto. La strega l’aveva punito per quello che le aveva fatto, togliendogli la persona a cui teneva di più. L’aveva trasformato in un demone non perché la uccidesse, ma perché scoprisse di amarla. Questa era la chiave per liberarsi dalla maledizione. L’unico Angelo che doveva uccidere era se stesso, il suo vecchio ego pieno di superbia. Voltò indietro la testa e costatò che le sue ali erano sparite. Era diventato mortale. Tutti i crimini che aveva commesso gli avevano macchiato l’anima e poiché il suo cuore non era più puro, non aveva più il diritto di essere un Angelo. E gli occhi mortali non erano in grado di vedere gli Angeli. Era questa la punizione che gli aveva riservato la strega: una vita senza la persona che amava.

Isabelle, consapevole dell’amore provava per lei, rimase al suo fianco tutta la vita, invisibile presenza che accompagnava il passare dei suoi anni. Poche ore prima che lui morisse, la strega bussò alla sua porta e, costatato che non aveva mai dimenticato la donna che aveva amato e che amava ancora e la lezione ricevuta, gli concesse la possibilità di vedere Isabelle ancora una volta. Così, quella sera, Luchas chiuse gli occhi per sempre, il sorriso sulle labbra e il cuore pieno d’amore. ​

lunedì 10 agosto 2015

La Piccola Sofia

Sofia se ne stava tranquillamente seduta sul prato, a intrecciare una corona di soffici margherite bianche, aspettando come ogni sera il ritorno di suo padre dai campi.
La famiglia di Sofia era molto povera e si era trasferita in campagna ancor prima che lei nascesse. Suo padre lavorava come contadino nei campi di un suo vecchio conoscente, mentre la moglie faceva da serva presso il parroco del villaggio. Sebbene Sofia avesse solo cinque anni, era costretta a rimanere a casa da sola tutto il giorno. Non c'era nessuno che potesse prendersi cura di lei, poiché i genitori lavoravano continuamente per poter guadagnare quelle poche lire che consentissero loro di sopravvivere.
La piccola rimaneva a giocare in giardino tutto il giorno, mirando i fiori e osservando la vita degli insetti. Adorava vederli volare lontano, chiedendosi dove fossero diretti.
Quando per l'ora del desinare la mamma rientrava, Sofia rimaneva in giardino ad osservare il tramonto intrecciando una coroncina di fiori per il padre, che sebbene fosse tremendamente stanco, la riempiva di baci e carezze per ore.
Un pomeriggio, mentre stava cercando di arrampicarsi su di un albero, Sofia sentì la madre rincasare molte ore prima del previsto. Qualcosa non andava. Il padre si era sentito male mentre stava lavorando, e sua madre doveva correre da lui. La donna prese dalla dispensa due pani, e ne diede uno a Sofia, ordinandole di andare a letto presto, perché domani mattina avrebbe trovato suo padre a casa che aspettava il suo risveglio.
Sofia rimase tutta la sera seduta in giardino, il pane in una mano, e la coroncina di fiori, per metà appassita e sciupata, nell'altra. Attendeva l'arrivo del suo papà.
A mezzanotte, mentre era ancora seduta ad aspettare, sentì nell'aria il profumo di suo padre, e una leggera brezza le accarezzò il viso. Dagli occhi della piccola cominciarono a scendere calde e copiose lacrime. Non ebbe bisogno della conferma della madre l'indomani mattina, sapeva già che suo padre non sarebbe tornato mai più.
Eppure, ogni sera, prima di andare a dormire, Sofia intreccia una coroncina di margherite bianche e le lancia verso il cielo, sperando che suo padre la veda da lassù.

domenica 9 agosto 2015

Il Pianista e la Figlia della Luna

C’era una volta un giovane pianista che viveva in una piccola città nei pressi delle rive del mare. La sua casa, dove viveva da sempre insieme ai suoi genitori, si trovava poco distante dalla spiaggia.
Era un giovane di bell’aspetto, alto e con i capelli scuri, ma era un tipo piuttosto solitario. Sebbene la madre gli avesse presentato le più belle ragazze del paese e dei suoi dintorni, non ne aveva trovata nessuna di suo gradimento. La sola cosa di cui fosse veramente innamorato era la sua musica. Le dolci note del pianoforte formavano melodiose sinfonie sotto le sue dita che, eleganti e veloci, scorrevano sulla tastiera.
Una notte, mentre passeggiava a piedi nudi sulla sabbia, come faceva ogni volta che voleva rimanere
solo a riflettere, si spinse molto più lontano del solito e arrivò nei pressi del faro. Fu lì che la vide. Una meravigliosa ragazza, vestita con un leggero abito bianco, la cui pelle, così chiara e delicata, risplendeva sotto i raggi della luna. La ragazza aveva gli occhi chiusi e suonava il violino con una dolcezza e un’abilità inaudite, mentre una leggera brezza sfiorava i suoi lunghi capelli corvini. Rimase a fissarla sbalordito e ammaliato fino a che lei, accortasi di essere osservata, scappò via di corsa. Invano il giovane cercò di raggiungerla rimanendo a fissare il punto in cui l’aveva vista sparire fino all’alba.
Rientrato a casa, non volle mangiare per giorni e aspettava la notte per poterla rivedere. Passò una settimana ma lei non si fece mai vedere. La madre del ragazzo era sempre più preoccupata e non riusciva a darsi pace chiedendosi cos’avesse il figlio.
Un giorno il ragazzo andò dal padre e gli chiese se poteva portare il suo pianoforte sulla spiaggia perché voleva comporre una sinfonia che assomigliasse al suono delle onde che s’infrangono sulla riva. Il padre, che teneva moltissimo a quel suo unico figlio, decise di accontentarlo e chiamò un paio di uomini che potessero spostare il pianoforte.
Quella sera attese che si facesse buio e iniziò a suonare una delle sue composizioni più dolci. Dopo molto tempo sentì il suono di un violino alle sue spalle che accompagnava le note del pianoforte. Subito smise di suonare e si voltò, ma non vide nessuno. Vagò con lo sguardo ma era solo. Com’era possibile? Forse l’aveva soltanto immaginato. Ricominciò a suonare e subito sentì il suono del violino che lo accompagnava. Questa volta, continuando a suonare, cercò con lo sguardo la ragazza e la vide appena dietro di sé, che lo fissava. Le sorrise e continuarono a suonare insieme fino all’alba quando, accortosi che il suono del violino era scomparso, smise di suonare. La ragazza non c’era più e decise di tornare a casa a riposare.
Andò avanti così per mesi, di notte suonava il pianoforte in spiaggia e di giorno dormiva sotto gli occhi ansiosi della madre.
Una sera la vecchia aspettò che fosse uscito e dopo un po' decise di prese un lume e andare a cercarlo sulla spiaggia per scoprire il motivo del suo comportamento. Quando sentì la musica spense il lume e cercò di raggiungere la fonte di quel suono. Si avvicinò lentamente rimanendo in disparte mentre osservava il figlio e quella strana fanciulla che suonavano. Involontariamente il lume le cadde di mano e si ruppe. La giovane, spaventata da quel rumore improvviso, fuggì via veloce e, nella fretta, perse l’archetto. Il ragazzo s’infuriò terribilmente e urlò alla madre di tornare a casa immediatamente. Preoccupato, si rimise subito a suonare ma la giovane non apparve. Tentò tutta la notte ma non ottenne nessun risultato. Fu solo al mattino, quando era ormai stanco e amareggiato, che capì che era tutto inutile. Alzatosi per tornare a casa, quasi calpestò l’archetto della fanciulla. Lo prese fra le mani col timore di spezzarlo e, giunto a casa, si chiuse nella sua stanza a contemplarlo.
Passarono giorni ma la giovane ragazza non si fece mai vedere. Il giovane ormai non mangiava ne dormiva più, e passava le sue giornate a suonare e suonare. Una notte, posò l’archetto sopra il pianoforte e, mentre ascoltava il rumore del mare, iniziò a suonare. Poco dopo il suono di un violino iniziò ad accompagnare la sua sinfonia. Alzando lo sguardo vide che l’archetto era sparito. Il ragazzo chiuse gli occhi mentre suonava, come se già conoscesse quella stupenda melodia che stavano componendo.
Continuarono fino a poco prima dell’alba quando la ragazza, sfiorandogli le spalle sussurrò:
“Vieni, è ora di andare.”
“Chi sei? Dove dobbiamo andare?”
“Il mio nome è Sabine e sono la figlia della Luna. Vieni con me fra le stelle.”

Il giovane non rincasò quel mattino, e nemmeno quello successivo. I genitori preoccupati lo cercarono in spiaggia la sera seguente e lo trovarono col capo poggiato sulla tastiera del pianoforte, un sorriso sul volto. Gli si avvicinarono e videro che era senza vita. La madre disperata piangeva e il padre, che cercava di distogliere lo sguardo dal figlio, guardò verso la luna e vide che lì a fianco c'era una stella molto luminosa. Osservando meglio vide che quella stella era in realtà una piccola finestrella del castello della Luna e lì affacciati c’erano suo figlio e la sua sposa che li salutavano.

Così, ogni sera i genitori del giovane, prima di cenare, si recavano in spiaggia a salutare il figlio e la nuora.

Nel mio inferno privato

Passeggiavamo sulla spiaggia. Io e lui. Mano nella mano, in un giorno di metà Settembre. Faceva ancora abbastanza caldo. Indossavo un vestito azzurro molto legger, mentre lui portava una maglietta rossa a maniche corte e un paio di jeans chiari. Dopo esserci tolti le scarpe ci sedemmo in riva al mare, ascoltando il rilassante rumore delle onde. Restammo lì abbracciati per circa un'ora, quando lui si alzò per andare a bagnarsi i piedi nell'acqua.
"E' tiepida!" - esclamò sorpreso, e voltandosi verso di me disse: "Facciamo il bagno amore?"
Sorridendo gli chiesi se per caso non fosse impazzito, ma lui si spogliò velocemente, e con addosso solo un paio di boxer azzurri che gli avevo regalato qualche mese prima, corse a buttarsi in mare.
Scuotendo la testa divertita iniziai a disegnare distrattamente sulla sabbia.
Passò un bel po' prima che mi accorgessi che il suono del mare era cambiato e che sembrava forte e minaccioso. Sollevai la testa e vidi che il cielo era grigio e pieno di nuvole pronte a scaricare la loro furia. Preoccupata guardai il mare in cerca di lui, ma non riuscivo a vederlo. Mi avvicinai gridando il suo nome, ma non rispondeva. L'acqua mi accarezzava i piedi, ma non era una bella sensazione. Era agghiacciante. Abbassai lo sguardo e vidi che l'acqua era di un rosso cremisi. Inorridii. Il mare era un'enorme distesa di sangue. Istintivamente feci qualche passo indietro, ma al solo pensiero di lui disperso in quell'orrore, mi gettai in quell'acqua di corsa, senza nemmeno levarmi il vestito. L'odore di sangue mi dava la nausea, ma continuai comunque nella ricerca, sperando di trovarlo sano e salvo. Il tempo sembrava trascorrere lentamente e la mia ricerca sembrava del tutto inutile. Mi sentivo sempre più stanca, e non avevo più la forza di gridare. Respiravo a fatica, respiri brevi e irregolari che scandivano il tempo che ormai era quasi terminato. Le gambe cedettero per la fatica e mi ritrovai sott'acqua, quell'acqua tinta di rosso che mi avvolgeva e non mi permetteva di risalire in superficie. Arrancando riuscii a riaffiorare e a prendere un po' di respiro, ma ero troppo stanca per continuare. Non riuscivo più a sentire il mio corpo che pesante mi trascinava inesorabilmente verso il fondo, e i miei occhi si chiudevano sempre più di frequente. Un tuono. Fu tutto ciò che udii, prima che il mondo diventasse completamente nero e affogassi in quell'abisso di morte che mi attendeva.