sabato 8 agosto 2015

Il Canto dell'Oblio

Nievs se ne stava seduta su di uno scoglio, intenta ad osservare i riflessi del sole morente sull’acqua
increspata dalle onde. Il vento le scompigliava i corti capelli ramati, mentre il sole faceva risplendere il cerchio d’oro che portava sulla fronte e i bracciali che le proteggevano i polsi. Si scostò una ciocca dal viso, sfiorandosi le orecchie a punta. Il suo volto esprimeva gioia e tristezza allo stesso tempo.
La guerra fra Elfi e Troll si era conclusa un’ora prima con la vittoria del Leggiadro Popolo. Nievs era ancora armata di tutto punto: l’arco, finemente lavorato, nella faretra, insieme ad alcune frecce piumate; la spada le pendeva dal fianco sinistro e riportava inciso sull’elsa un glifo del tutto sconosciuto; una serie di coltelli da lancio legati alla coscia; un lungo pugnale infilato nello stivale destro; e infine un coltello inserito in una cucitura interna del corpetto.
Nievs era completamente immersa nei suoi pensieri. La guerra era iniziata novant’anni prima e lei era giunta lì per uno strano disegno del destino per aiutare gli Elfi. I Troll non dovevano assolutamente vincere o avrebbero stravolto per sempre il mondo così come tutti lo conoscevano riversando odio e disperazione in tutte le creature viventi. Se non avesse usato i suoi poteri, la guerra avrebbe annientato l’intera popolazione Elfica, che rappresentava da sempre custodi viventi dell’antica magia che ancora popolava il mondo. Per questo motivo si era risvegliata dal suo lungo sonno.
Per anni si era introdotta di nascosto nel bel mezzo della notte negli accampamenti militari dei Troll, uccidendone quanti più possibile, distruggendo le loro scorte di cibo e d’indumenti, e cercando in ogni modo di indebolirli. I Troll, superstiziosi com’erano, avevano stupidamente creduto che la valle dov’erano accampati fosse infestata da spiriti malvagi.
Rise a quel pensiero.
Quasi non si accorse che Eldyn era giunto alle sue spalle.
“Nievs? Tesoro, non vieni a festeggiare la vittoria con noi?”
Innamorarsi. L’errore più grande che avesse mai commesso in tutta la sua lunga esistenza. Ma non riusciva proprio a pentirsene, ne era troppo felice. “Fra un momento” – rispose lei.
“Che cosa succede?” – domandò notando la tristezza nella sua voce.
“Nulla” – sussurrò Nievs chinando di lato il capo.
“Che cosa mi nascondi?” – chiese sospettoso.
“Niente, stai tranquillo” – sorrise mesta. Non desiderava lasciarlo, e non desiderava nemmeno andarsene, ma lei non era un Elfo e purtroppo non poteva restare, ora che la sua missione era stata compiuta. Il mondo era salvo, e, per ora, non aveva più bisogno di lei. – “Ti raggiungo subito… amore”.
“Va bene, ti aspetto allora”
“Certo” – esclamò cercando di sorridere.
Lo osservò andarsene. Eldyn era un Elfo magnifico. I suoi occhi erano azzurri come il cielo e i suoi lunghi capelli biondi erano oggi raccolti da un sottile nastro di raso rosso. Era sempre stato un tipo piuttosto solitario. Lei era stata l’unica a far breccia nel suo cuore, e ora non sarebbe stata più nulla per lui.
Tornò a fissare le onde del mare. Nessuno si sarebbe ricordato di lei, ed Eldyn non avrebbe sofferto per la sua mancanza. Si alzò molto lentamente, e gettò le armi nel mare. Una a una, con estrema calma. Poi si spogliò completamente, addosso aveva soltanto i due bracciali e il suo cerchietto d’oro, e osservò nuda il sole che stava iniziando a tramontare. Chiuse gli occhi e inclinò il capo all’indietro, scuotendo i capelli. Il suo corpo si ricoprì di lingue di fuoco. Si lasciò avvolgere, trasformandosi in uno splendido uccello e poi, si alzò in volo e cominciò a disegnare dei cerchi nel cielo.
Pochi istanti dopo la fenice cominciò a cantare. Il suo canto giunse fino alla valle, dove gli Elfi stavano celebrando la loro vittoria. Tutti alzarono la testa in alto per ascoltare quella dolce melodia che poteva appartenere solo ad una creatura così dolce e pura. Il volto di Nievs e il suo ricordo sparirono dalla mente di tutti, compreso quella di Eldyn. Ma sempre egli serbò nel cuore l’amore che sentiva per qualcuno di cui non ricordava più nulla.
E quando la notte giunse con le sue stelle la fenice si ritirò dalla vista del mondo e più non apparve. 

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