giovedì 24 settembre 2015

Sotto un cielo notturno

Ultimamente sono poco presente qui sul blog e mi dispiace davvero moltissimo. Vediamo se riesco a farmi perdonare postandovi questo racconto fantasy, scritto con il contributo di Marisa Cappelletti, che ringrazio tantissimo.

Sotto un cielo notturno

"Era una notte limpida e serena, rischiarata dal bagliore della luna che, solitaria nel cielo, sembrava sorridere a chiunque la osservasse. Una leggera brezza accarezzava gentile i campi di grano pronti per la raccolta, mentre una figura silenziosa camminava fra le spighe. Il vampiro si voltò, i sensi all'erta, mentre il dolce profumo del sangue, trasportato dal vento, gli giungeva alle narici. L'odore non era particolarmente intenso, segno che l'agognata vittima non si trovava nelle immediate vicinanze. Un sorriso increspò le sue labbra sottili, facendo brillare i suoi lunghi canini appuntiti alla luce della luna."

Giulia guardò imbronciata quello che aveva appena scritto e accartocciò il foglio irritata. Era giá la terza volta che provava a scrivere quella parte, ma continuava a non essere soddisfatta. Le parole sembravano non voler uscire. Possibile che fosse così difficile? Eppure le idee non le mancavano, anzi! Sembravano non avere mai fine.
Chiuse il quaderno con uno scatto e si avvicinò alla finestra. Erano le due di notte e la luna, proprio come nel suo racconto, tingeva il paesaggio d'argento. Tutto era fermo, immobile. Le sembrava che il tempo fosse stato congelato e lei fosse l'unica persona a cui era stato concesso il privilegio di ammirarlo. Mentre si appoggiava al vetro si accorse che in realtà c'era un'ombra che si muoveva là fuori. Qualcosa o qualcuno si stava avvicinando. 

venerdì 18 settembre 2015

L'ultimo spettacolo


«Non riesco a credere di essermi fatta convincere a venire in questo postaccio». Giada osservò il cinema semideserto e storse il naso. Quel posto era orribile e puzzava tremendamente di pop corn. Era un vecchio cinema particolarmente datato, probabilmente risalente agli anni cinquanta.
«Ma quale postaccio! Io lo trovo incantevole. Sembra quasi di essere tornate indietro nel tempo, non trovi? E poi il biglietto costa solo cinque euro». Erica era raggiante.
«Ora capisco tutto. Sei la solita taccagna! Cosa non faresti per risparmiare anche un solo centesimo» borbottò Giada seccata, lanciandole un'occhiataccia. Lei ed Erica erano amiche da sempre e Giada non ricordava una sola volta in cui l'amica non si fosse preoccupata del denaro. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, ma quella volta Erica aveva davvero esagerato: quel cinema cadeva a pezzi. La moquette era lurida e in alcuni punti scollata e il barista, dietro il piccolo angolo bar, era così vecchio che Giada si domandò se sarebbe riuscito ad arrivare a fine serata.
«Dai, Giadina. Non dovresti giudicare un libro dalla copertina. Proiettano dei film nuovissimi a poco prezzo. Non puoi negare che i cinema moderni costino un occhio della testa».
"Sì, ma almeno sono più puliti di questo posto. Speriamo di non prendere i pidocchi", pensò Giulia, guardando disgustata la bottiglietta d'acqua che aveva appena comprato. Era tutta appiccicosa. «Faccio un salto il bagno prima che cominci il film».
«Okay, tesoro, ma vedi di sbrigarti. Il film comincia tra dieci minuti. Io ti aspetto in sala».
«Sì, tranquilla. Farò in un lampo». 
Giada aprì la porta della toilette, la cui targhetta sembrava stare appesa per miracolo, e non poté fare a meno di guardarsi intorno disgustata. Il bagno, se possibile, era in condizioni peggiori del resto dell'edificio. Possibile che i proprietari si preoccupassero così poco della pulizia e della manutenzione di quel posto? Eppure sarebbe bastato così poco per renderlo un cinema degno di questo nome. Era un vero peccato!
Si avvicinò all'unico lavandino presente e aprì il rubinetto, ma quello gorgogliò rabbioso in risposta, rifiutandosi di funzionare. Giada sbuffò pensando a Eva. Avrebbe dovuto seguire il suo esempio. Aveva dato loro buca sostenendo di non sentirsi troppo bene, ma lei sapeva che l'aveva fatto per paura di finire in un posto di dubbio gusto proprio come quello.
Mentre stava guardando sconsolata il rubinetto che continuava a lamentarsi, la luce iniziò a sfarfallare, aumentando così la sua irritazione.
«Certo!» sbottò lei, alzando gli occhi al soffitto. «Non vedevo proprio l'ora di rimanere da sola al buio in questo schifo di posto».
«E chi ha detto che sei sola?» sibilò una voce davanti a lei, raggelandola.
Spaventata, Giada abbassò gli occhi e fissò lo specchio sopra al lavandino, dove il suo riflesso la stava guardando con un'espressione sardonica stampata in faccia. Vide i suoi occhi accendersi di rosso, mentre la pelle sembrava invecchiare e sgretolarsi velocemente, rivelando ciò che vi si trovava al di sotto. La ragazza cercò di fare un passo indietro terrorizzata, ma la figura dall'altra parte dello specchio si sporse in avanti e l'afferrò per le braccia ridendo. «Non puoi sfuggirmi cara. Hai firmato la tua condanna a morte quando hai oltrepassato la soglia di questo posto».  

Erica si guardò intorno e notò che la sala era completamente vuota. Era strano che le persone snobbassero quel posto forse un po' vecchiotto, ma che proponeva comunque i film più recenti.
"Meno male che l'ho scoperto", sorrise fra sè sistemandosi a sedere, "Ottimi film a poco prezzo: è il posto giusto per me. Se poi c'è poca gente, meglio! Almeno potremmo vedere il film in pace".
Pochi minuti dopo le luci si spensero e lo schermo iniziò a proiettare vecchie pubblicità. Approfittando dell'oscurità, Erica aprì la borsa ed estrasse il sacchetto di popcorn che aveva preparato a casa prima di uscire. Che male c'era a voler risparmiare un po'?​ Meno male che Eva non c'era, altrimenti l'avrebbe di sicuro presa in giro.
Mentre aspettava l'inizio del film iniziò a mangiucchiare un popcorn dietro l'altro. Le pubblicità erano in bianco e nero, dando al cinema un'aria retrò che non le dispiaceva affatto.
Sentì la porta della sala aprirsi e si girò per fare segno a Giada, che avanzò lentamente nella sua direzione. Ce ne aveva messo di tempo! La pubblicità era ormai terminata e uno di quei vecchi countdown cinematografici era apparso sullo schermo, avvisando che mancava solo un minuto. Presto il film sarebbe iniziato, non vedeva l'ora!
«Sei arrivata giusto in tempo, il film sta per iniziare» bisbigliò a Giada, che nel frattempo si era seduta vicino a lei. «Sei arrabbiata con me per questo posto? Sei così strana».
Mentre il countdown scandiva gli ultimi dieci secondi, Erica si voltò in direzione dell'amica e incontrò i suoi occhi vitrei che la fissavano. Giada sorrise scoprendo i denti e si afferrò i capelli con una mano e tirò. La testa si staccò dal resto del corpo con un colpo secco e Erica urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre i popcorn si riversavano per terra, rotolando sotto i sedili. 

Il barista abbandonò la sua postazione e si diresse verso la sala, zoppicando leggermente. Era ora di chiudere, mancava solo un'ora all'alba.
«Hai finito di giocare con quelle due?» urlò, dopo aver aperto la porta della sala.
Una risata sinistra riempì l'aria e Giada, con la testa sotto il braccio, si avvicinò al vecchietto.
«Sempre il solito guastafeste. Non ci si può mai divertire quando ci sei tu nei paraggi» sbuffò la testa, roteando gli occhi in tutte le direzioni.
«Mi pare che ti sia divertito anche troppo» sospirò il barista, indicando la testa con cui il corpo di Giada stava giocherellando. «Muoviti, forza. Dobbiamo andarcene».
«E' un vero peccato, mi piaceva questo posto».
«Siamo rimasti qui troppo a lungo, dobbiamo cambiare città se non vogliamo dare troppo nell'occhio. Vedrai che troveremo un altro vecchio cinema come questo. Il mondo ne é pieno».
Si spostarono verso l'entrata e il barista si aprì la camicia, voltandosi verso Giada. Il corpo della ragazza cadde sul pavimento e la testa scivolò giù dai gradini, rotolando verso il bar. Un fumo nero uscì dalle sue labbra e lo spettrò si allontanò da lei, penetrando dritto nel petto del vecchio, mentre i suoi occhi si coloravano d'un rosso acceso.
«Tra poco ce ne andremo. C'è solo un'ultima cosa da fare».  

Erano ormai le quattro del mattino quando Eva tornò finalmente a casa, dopo aver trascorso la serata in discoteca in compagnia di alcuni amici di suo fratello. Prima di addormentarsi controllò il cellulare, ma non c'erano messaggi.
"Forse le ragazze se la sono un po' presa. Probabilmente ho fatto male a dar loro buca per l'ennesima volta." pensò, mentre apriva Whatsapp e lasciava un messaggio per Giada, prima di addormentarsi.

Il mattino seguente, Eva guardò di nuovo il cellulare, ma si accorse che il messaggio non era arrivato a destinazione. Preoccupata, provò a chiamare Giada, poi Erica, ma entrambi i loro cellulari erano spenti. Tentò allora di telefonare alla mamma di Giada e questa, agitata e balbettante, le riferì che le due ragazze non erano ancora rientrate a casa. 

Ventiquattr'ore dopo, Eva parcheggiò la macchina vicino al cinema che Erica le aveva suggerito qualche giorno prima. Aveva provato a convincere la polizia che le due ragazze erano andate lì quella sera, ma nessuno le aveva creduto, sostenendo che si trattava di un vecchio cinema chiuso ormai da decenni.
Eva scese dall'auto e si avvicinò, osservando l'insegna posta sopra l'entrata. Sotto strati di polvere si poteva ancora leggerne il nome. Cinema Eden. Appoggiò una mano sulla porta, che si aprì cigolando, e Eva non poté fare a meno di reprimere un brivido involontario.
"Probabilmente la serratura era difettosa", si disse, mentre entrava in quello spazio buio, facendosi luce con il flash del cellulare.
La prima cosa che vide fu il corpo senza testa di Giada, che giaceva riverso sulla schiena. Si tappò la mano con la bocca e si voltò per fuggire ma la porta alle sue spalle si chiuse, facendo scattare la serratura. Per quanto Eva cercasse di tirarla, quella non aveva nessuna intenzione di aprirsi.
«Sapevo che saresti venuta a cercarle» sghignazzò una voce alle sue spalle. «Lo sapevo e sono rimasto qui apposta ad aspettarti. Sei contenta?»
Eva strinse il cellulare e si voltò, sollevandolo per cercare il proprietario di quella voce ma tutto ciò che vide furono soltanto due occhi rossi. 

giovedì 17 settembre 2015

Autumn

Rosso rubino
su verde seta adagiato,
sinuoso si move
al tocco di un sospiro.
Da morbide ali sfiorato
fremente di desiderio
lasciandosi cullare s'abbandona
tra grigie lenzuola. 


martedì 15 settembre 2015

Scrittori... e concorsi!

Scrivere al giorno d'oggi non è complicato, ma farsi conoscere attraverso Internet è una vera e propria impresa. C'è davvero troppa gente che scrive, ma ben poca che abbia il tempo e la voglia di leggere. La semplicità e la velocità con cui si riesce a pubblicare un racconto o una poesia su di un blog e a creare un ebook da vendere su Amazon o simili, ha spinto sempre più persone a cimentarsi nella scrittura, abbassando di molto la qualità degli scritti che si trovano sul web. Molta gente, infatti, pubblica racconti e romanzi non solo senza nemmeno correggere il proprio lavoro, ma spesso non conoscono nemmeno le basi della grammatica italiana, cosa che mi fa infuriare non poco.
Uno scrittore è colui che sa scrivere, dare emozioni e dipingere momenti attraverso le parole; una persona che ama e cura il proprio lavoro in ogni minimo dettaglio; qualcuno che non ha paura di scrivere, cancellare e riscrivere un pezzo finché non è pienamente soddisfatto del risultato. Non possiamo definire scrittore qualcuno che pubblica su internet con il solo scopo di guadagnare denaro.

D'altra parte, se pubblicare ebook è ormai alla portata di tutti, vi sono tante e troppe persone che cercano di guadagnare sfruttando i talenti emergenti. Il numero dei concorsi a pagamento che mettono in palio pubblicazioni e antologie il cui unico scopo è arricchire la casa editrice o l'associazione di turno è notevolmente aumentato e tu, che desideri farti notare in questo enorme oceano pieno di scrittori, qualche volta ci caschi e ti lasci tentare. 
Le case editrici e gli editor stanno approfittando dell'enorme quantità di persone che desidera pubblicare per arricchirsi, dunque non lasciatevi ammaliare dalla promessa di una pubblicazione o da un concorso nel quale dovete sborsare del denaro. Non si tratta di concorsi o di contratti seri, ma sfruttano semplicemente il desiderio di un sognatore esclusivamente per il proprio tornaconto. 
Abbiate fiducia in voi stessi e non lasciatevi ingannare.
Se siete bravi e il vostro lavoro è veramente valido verrete scelti per il vostro talento, e non per quanti soldi potete fruttare. Io ve lo auguro di cuore!

Nel frattempo io continuo ad inseguire questo sogno, quello di riuscire a farmi conoscere un po' e magari, un giorno, anche di pubblicare un libro.

Vi auguro una dolce giornata!!!


domenica 13 settembre 2015

Un re che amava troppo

Ultimamente ho sentito spesso parlare di questo sito, THe iNCIPIT, così mi sono informata e ho deciso di provare anch'io ha scrivere qualcosa su questo sito. THe iNCIPIT ti dà la possibilità di scrivere una storia in dieci parti, dove però è il lettore a scegliere in che direzione si svolgerà la storia. Infatti, alla fine di ogni parte, l'autore porrà una domanda ai lettori, fornendo tre possibili trame. La parte successiva si baserà sulla trama che ha ricevuto più votazioni. Sembra interessante e divertente, vero?
Allora vi propongo l'inizio di questa mia storia... perchè non provate a leggerla e a votare l'opzione che più preferite? Cliccate sull'immagine o sul titolo per leggere la storia.
Vi aspetto!!!

Un re che amava troppo photo Re amava troppo.jpg

martedì 8 settembre 2015

Una vendetta agrodolce


Marco suonò il campanello e attese, spostando sull'altro braccio la pesante pirofila che aveva preparato due giorni prima. La sua fidanzata, Céline, gli aprì la porta eccitata, chiedendogli incuriosita che cosa avesse mai portato di buono questa volta. Lui rispose facendole l'occhiolino e avviandosi verso la cucina, con lei al seguito.
«Super! Che cos'è?» domandò di nuovo, quando lui tolse la carta stagnola che copriva la pirofila.
«Sarde in saor, un piatto tipico delle mie parti» rispose lui, ripensando alla sua amata Italia e a quanto tempo era passato dall'ultima volta che l'aveva vista. Si era trasferito a Parigi quattro anni prima per stare con Céline e da allora non era più tornato. Si era innamorato di lei a prima vista, durante l'estate di cinque anni prima, quando era entrata a mangiare nella trattoria che Marco gestiva insieme ai suoi genitori. Qualche settimana dopo Céline era ripartita e lui, senza pensarci troppo, aveva deciso di seguirla, affittando un appartamento nella sua città e lavorando come cuoco in uno dei tanti ristoranti di Parigi.
Si sedettero a tavola e Marco notò con soddisfazione che la sua fidanzata si stava abbuffando avidamente di quella deliziosa pietanza.
«Adoro la cucina italiana», disse lei ad un certo punto, mentre lui, sorridendo, le riempiva nuovamente il piatto. «Devi assolutamente darmi la ricetta tesoro».
«Non è un piatto complesso da preparare. Prima devi pulire le sarde, infarinarle, friggerle in abbondante olio e salarle. Io ho usato un chilo di sarde. Poi affetti circa un chilo e mezzo di cipolle e le friggi usando un po' dell'olio di frittura delle sarde. Aggiungi sale e pepe, un po' di pinoli e uvetta e le fai appassire con dell'aceto e un cucchiaio di zucchero. Una volta raffreddate alterni in una pirofila uno strato di cipolle ad uno di sarde e il gioco è fatto(1). Visto che oggi è il nostro anniversario ho pensato di aggiungere anche un ingrediente segreto».
«Ti prego, dimmi qual è» lo supplicò lei, accarezzandogli la mano e guardandolo con uno sguardo seducente.
«Forse più tardi» e le diede un delicato bacio sulla guancia, prima di mettersi a sparecchiare.
Dopo pranzo si accomodò sul divano con Céline che, teneramente abbracciata a lui, lo costrinse a guardare un paio di commedie strappalacrime che le piacevano tanto e che, secondo lei, erano l'essenza stessa del romanticismo.
Il secondo film era quasi terminato quando Céline avvertì dei forti crampi improvvisi alla pancia che la fecero rizzare a sedere. Marco non fece neppure in tempo a domandarle cosa c'era che quella si alzò e corse subito verso il bagno.
Trattenendo una risata, lui appoggiò sul tavolino una boccetta di Guttalax, “l'ingrediente segreto” con cui aveva condito di nascosto il piatto di Céline. Di sicuro ne avrebbe avuto per un bel po' in bagno ed era certo che la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di tradire ancora il proprio ragazzo.
Marco uscì appagato da quella casa e si avviò verso la macchina parcheggiata lì sotto e già caricata con tutti i suoi bagagli. Era ora di tornare a casa dalla sua famiglia, in Italia.
'È proprio vero!', pensò. 'La vendetta è un piatto che va servito freddo. Freddo proprio come le sarde in saor.' e a questo pensiero non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere.

 

(1) Autentica ricetta della tradizione veneta.

domenica 6 settembre 2015

I Lucchetti di Ponte San Bartolomeo


«Che cosa ne pensi dei lucchetti?» domandò Iris speranzosa, osservando la moltitudine di lucchetti che ricopriva il ponte. Ormai lei e Matteo stavano insieme da due mesi e lei non vedeva l'ora di mettere il loro lucchetto lì, su quel ponte dove si erano incontrati la prima volta.
«Penso che siano la cosa più stupida a cui potessero mai pensare. Come possono, dei pezzettini di freddo metallo, rappresentare l'amore? L'amore, quello vero, assume diverse forme e sfumature, non si manifesta mai allo stesso modo. Non capisco come la gente possa credere che, scrivendo le loro iniziali su un lucchetto come questo e gettando la chiave nel fiume, il loro amore durerà per sempre.
Invece di fare una cosa così dannatamente idiota, perché non pensano piuttosto di piantare un albero? Ecco, credo che un albero possa rappresentare degnamente l'amore, perché l'amore è qualcosa di vivo, che cresce e muta con il tempo e nessuno sa mai come e in che modo si svilupperà. Sì, direi che è un esempio perfetto. Un albero può resistere alle tormente e al freddo dell'inferno e così anche l'amore, se abbastanza forte, è in grado di superare le avversità e gli ostacoli che la vita gli pone davanti. Non trovi anche tu?»
Iris lo guardò a bocca aperta, senza saper bene cosa dire. Matteo non era mai stato un ragazzo particolarmente loquace ed era la prima volta che si esprimeva in un modo così profondo e intenso. Iris annuì sorridendogli. Impossibile non dargli ragione.
Pensò di essere stata fortunata ad aver incontrato quel misterioso ragazzo. Anche se non parlava molto, Matteo riusciva sempre in poche parole a dire la cosa giusta e ad esprimerle nel suo silenzio l'amore che provava per lei.
«Penso tu abbia ragione» sussurrò lei abbracciandolo.
Si avviarono verso il loro bar preferito e mentre si apprestavano ad entrare, Iris, senza farsi notare da lui, mise la mano in tasca e gettò il lucchetto nel cestino. Non aveva bisogno di un frivolo lucchetto per ricordare a se stessa che amava quel ragazzo più di ogni altra cosa al mondo.​

sabato 5 settembre 2015

In un giorno di pioggia - 20Lines Version

Esistono due versioni diverse di questa storia, una presente su 20Lines insieme a Sergio Salvi e che vi presento qui sotto e una, invece, che si trova all'interno della raccolta La vita reale può essere migliore di qualsiasi film.
Vi lascio con questa lettura augurandovi un piacevole weekend!

In un giorno di pioggia
Il vento scompigliava i capelli di Veronica e ciocche ribelli le sferzavano il viso, come a voler cancellare quelle lacrime che testarde continuavano a sgorgare. Non sarebbe mai dovuta tornare lì, lo sapeva, su quella scogliera che racchiudeva così tanti ricordi di loro, di lui. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire le sue labbra sfiorarle la fronte, prima di voltarsi e andarsene via, lontano da lei.
«Ho trovato un'altra, mi dispiace Vero» erano state le ultime parole che lui le aveva rivolto.
Veronica chiuse gli occhi, sentendo la rabbia montarle dentro e, incapace di trattenerla, urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Il suo grido venne soffocato da un'onda furente che si scaraventò contro la scogliera quasi volesse afferrarla e portarla via con sè.
Il cielo plumbeo e minaccioso sembrava incombere su di lei.
Sii felice, aveva osato augurarle.
Cadde in ginocchio, le braccia strette al petto.
La pioggia iniziò a cadere lentamente, divenendo sempre più fitta, ma Veronica non se ne curò. In pochi minuti si ritrovò completamente inzuppata, i vestiti incollati addosso.​ Si ranicchiò per terra, in posizione fetale, cercando di arginare il dolore, lasciandosi sfiorare dal caldo abbraccio che la pioggia sembrava offrirle.
Chiuse gli occhi e immaginò che la pioggià lavasse via tutto il dolore.
Venne svegliata da un soffio di aria gelida, quando ormai era sera inoltrata.
Non sapeva per quanto tempo era rimasta sdraiata lì, sulla nuda roccia. Alzò la testa in direzione della spiaggia e fu in quel momento che lo vide.