Tra 50 metri, girare a destra.
Girare a destra.
«Stupido navigatore! Non c’è nessuna strada a destra» esclamò Dylan lanciando un’occhiata furente al display dell’apparecchio. «Te l’avevo detto che era meglio festeggiare Halloween con un bel pigiama party a base di film horror e popcorn» si lamentò Holly.
«Ma Sean ha organizzato una festa nella sua casa al lago» disse Dylan, accostando la macchina sul ciglio della strada.
«Tanto lo so che vuoi andarci solo perché ci sarà anche suo cugino Matt» sghignazzò l’amica, «Piuttosto… dove siamo finite?»
«Non lo so. Questo coso ha scelto il momento sbagliato per scaricarsi».
«Beh, tira fuori il caricabatteria».
«Ehm… l’ho dimenticato a casa» rispose Dylan mordendosi il labbro.
«Meno male che hai la testa attaccata al collo o dimenticheresti anche quella» disse Holly tirando fuori il cellulare. Infastidita lo gettò di nuovo nella borsa. Non c’era campo.
«Proviamo ad andare avanti» propose Dylan, ma l’auto sembrava essere di un altro avviso.
«Perfetto» sbottò Holly, «Bloccate in una strada deserta, circondate dalla nebbia. Un’atmosfera perfetta per la notte di Halloween».
«Dai, Holly! Mi dispiace, okay?»
«Immagino che qui non passi anima viva. Sarà meglio uscire e cercare un’abitazione, così potremmo farci venire a prendere. Ah! Mi devi una serata con film e popcorn. Sappilo!»
«Certo» disse Dylan con un ampio sorriso, «Anche due».
Le ragazze uscirono dall’auto e si incamminarono lungo la strada deserta, delimitata da campi. Camminarono per circa mezz’ora quando videro un edificio sulla sinistra.
«Proviamo lì» suggerì Holly.
«Non sembra una casa» obiettò Dylan.
«Ma avrà senz’altro un telefono, no?»
Titubante, Dylan la seguì.
«È una scuola» disse.
«Era, vorrai dire» precisò Holly, indicando il lucchetto arrugginito che chiudeva il cancello.
«Andiamo via Holly. Questo posto mi dà i brividi».
«Non essere sciocca, cucciola» la rimproverò dolcemente, «Ci sarà sicuramente un telefono là dentro. Se siamo fortunate funziona ancora».
«Ma come facciamo ad entrare?»
Holly le fece l’occhiolino e sferrò un calcio al lucchetto che cedette senza problemi.
«Voilà» disse lei spalancando il cancello.
L’edificio era vecchio e fatiscente, probabilmente abbandonato da molti anni. Una ventina constatò Dylan guardando le foto dei diplomi appesi nell’atrio.
Mentre camminavano attraverso uno dei corridoi della scuola, Holly strinse il braccio di Dylan.
«Ehi, guarda. Lì c’è un bagno. Entriamo dai, devo controllare i capelli» disse Holly.
«Eh?»
«Con tutta l’umidità che c’è fuori di sicuro sembrerò un clown. Non posso mica presentarmi alla festa con i capelli in disordine» puntualizzò.
Holly spinse la porta del bagno e puntò dritta verso lo specchio. Dylan la osservò guardarsi allo specchio e controllare che i suoi lunghi capelli castani non fossero fuori posto. Lei non provò nemmeno a sistemare i suoi ricci, che come al solito se ne stavano ognuno per conto proprio.
«Credi nel soprannaturale Dylan?» sussurrò Holly all’improvviso, guardandola attraverso lo specchio.
«No, penso ci sia sempre una spiegazione razionale dietro ogni cosa» affermò.
«Ti andrebbe di provare a fare una cosa?»
«Cosa?» domandò Dylan.
«Proviamo a invocarla» disse Holly entusiasta.
«Chi?»
«Bloody Mary. Si dice che se pronunci il suo nome tre volte davanti ad uno specchio lei apparirà», le spiegò e, vedendo il volto scettico dell’amica, aggiunse «Se hai ragione non dovrebbe succedere nulla, giusto? Avanti».
«Se ci tieni tanto» e si mise di fianco a lei.
Le due amiche ripeterono quel nome per tre volte, ma nulla accadde.
«Quanto sei credulona, Holly» la prese in giro, allontanandosi in direzione della porta. Delusa, Holly fece per seguirla, quando una sagoma vestita di bianco apparve sullo specchio. Prima che potesse aprir bocca il vetro dello specchio esplose all’improvviso, facendo voltare Dylan.
Tutto quello che la ragazza vide fu il corpo di Holly scivolare a terra. Un frammento di vetro conficcato alla base del collo. Il sangue iniziò a uscire copioso dalla ferita e a riversarsi sul pavimento del bagno, mentre il corpo sussultava. Terrorizzata, Dylan arretrò mentre un leggero scampanellìo risuonava per la stanza. Spostò lo sguardo dal corpo senza vita di Holly e i suoi occhi si fermarono sui frammenti dello specchio sparsi sul pavimento. In ogni frammento un paio di occhi neri la fissavano.
Uscì di corsa dal bagno, consapevole che qualcosa o qualcuno la stava seguendo. Corse veloce lungo il corridoio verso l’uscita. Stava quasi per attraversarla quando il piede inciampò su di un cavo facendola cadere.
«STOOOOOOOOOOOP!» urlò una voce.
Le luci si accesero all’istante e un uomo le si avvicinò aiutandola ad alzarsi.
«Tagliate questa scena. La rigireremo da capo domani e tu, cerca di stare più attenta Anna».
L’attrice si spazzolò i jeans e si scostò una ciocca dal viso, scusandosi. Non aveva proprio notato quel cavo.
Dopo che il regista diede loro qualche indicazione per il giorno seguente, lei e Sabrina si avviarono verso il loro camerino. Erano state davvero brave quel giorno e il regista sembrava davvero contento di aver scelto loro fra tante ragazze che si erano presentate ai provini per le parti di Dylan e Holly.
Mentre si rivestivano e si truccavano davanti allo specchio, preparandosi per uscire con alcuni membri della troupe, un leggero scampanellìo attirò la loro attenzione. Sabrina si voltò verso Anna che, credendo che si trattasse di uno scherzo aprì la porta e lanciò un’occhiata fuori, ma non c’era nessuno. Richiudendo la porta sentirono un leggero sussurro che si ripeteva, come una litania.
Bloody Mary. Bloody Mary. Bloody Mary.
Il grido strozzato di Sabrina richiamò la sua attenzione e Anna si voltò verso lo specchio dal quale grondava sangue. Cercarono di uscire dalla stanza ma la porta sembrava bloccata. Si girarono verso lo specchio.
Una sagoma bianca dagli occhi neri le stava fissando.
L’ultima cosa che sentirono furono le sue dita fredde stringere i loro cuori.
«Leggere ti permette di essere qualcun altro per un po', esplorando mondi straordinari, ma scrivere... Oh, scrivere ti consente di essere chiunque tu voglia, di vivere e provare emozioni di cui hai bisogno, in mondi diversi e sempre nuovi, perchè alla fantasia, Amici Miei, non c'è mai fine».
mercoledì 28 ottobre 2015
venerdì 23 ottobre 2015
How to start...
Iniziare a scrivere qualcosa, che sia un tema, un messaggio o un racconto, non è mai semplice. Molto spesso rimaniamo a fissare la pagina bianca, la penna sospesa sopra il foglio o il cursore del mouse che lampeggia insistente, in attesa che le parole inizino a fluire come per magia.
L'ispirazione, di cui ho già parlato in un precedente post, spesso non tarda ad arrivare, ma come sarebbe effettivamente meglio iniziare una storia?
Prima che una scrittrice, sono innanzi tutto una lettrice e un'idea alla fine me la sono fatta.
L'incipit è forse la parte più importante di una storia perché può spingere il lettore a proseguire o ad abbandonare la lettura, dunque è bene tener presente che esistono, per quel che mi riguarda, due modi per iniziare una storia.
Il primo, e forse più il più semplice, è quello di iniziare un racconto in maniera lenta e graduale, partendo così dall'inizio e permettendo al lettore di entrare pian piano nella storia, quasi in punta di piedi, e di lasciarsi conquistare una parola alla volta.
Il secondo, invece, è ben diverso. Il lettore viene catapultato direttamente all'interno della storia che, spesso, è già iniziata. La narrazione non segue sempre una linea cronologica ma spesso è inframezzata da flashback o anticipazioni, con un ritmo abbastanza movimentato.
E' il tipo di incipit che amo e odio di più, sia come lettrice che come scrittrice. Iniziare in questo modo significa stregare letteralmente il proprio lettore sin dalle prime righe ed è una tecnica abbastanza complessa che si perfeziona nel corso del tempo.
Ogni scrittore è più portato per una o per l'altra tecnica, ma questo non vuol dire che non possiamo sperimentarle e perfezionarle entrambe.
Detto questo, ovviamente l'ispirazione deve essere il motore principale che muove la nostra mano: sarà lei a condurci verso l'alternativa migliore da utilizzare. Mi piace pensare che le storie sorgano spontanee e siano dotate di vita propria. Meno interventi dovremo fare e migliore sarà la storia ma, badate bene, non sto dicendo di scrivere a casaccio; semplicemente lasciatevi guidare.
Direi che per oggi vi ho rubato abbastanza tempo, però sono curiosa...
Il primo, e forse più il più semplice, è quello di iniziare un racconto in maniera lenta e graduale, partendo così dall'inizio e permettendo al lettore di entrare pian piano nella storia, quasi in punta di piedi, e di lasciarsi conquistare una parola alla volta.
Il secondo, invece, è ben diverso. Il lettore viene catapultato direttamente all'interno della storia che, spesso, è già iniziata. La narrazione non segue sempre una linea cronologica ma spesso è inframezzata da flashback o anticipazioni, con un ritmo abbastanza movimentato.
E' il tipo di incipit che amo e odio di più, sia come lettrice che come scrittrice. Iniziare in questo modo significa stregare letteralmente il proprio lettore sin dalle prime righe ed è una tecnica abbastanza complessa che si perfeziona nel corso del tempo.
Ogni scrittore è più portato per una o per l'altra tecnica, ma questo non vuol dire che non possiamo sperimentarle e perfezionarle entrambe.
Detto questo, ovviamente l'ispirazione deve essere il motore principale che muove la nostra mano: sarà lei a condurci verso l'alternativa migliore da utilizzare. Mi piace pensare che le storie sorgano spontanee e siano dotate di vita propria. Meno interventi dovremo fare e migliore sarà la storia ma, badate bene, non sto dicendo di scrivere a casaccio; semplicemente lasciatevi guidare.
Direi che per oggi vi ho rubato abbastanza tempo, però sono curiosa...
... conoscete qualche altro modo per iniziare una storia?
♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦
Nel post di mercoledì 28 ottobre troverete un nuovo racconto inedito scritto lo scorso anno appositamente per Halloween ma, per creare un po' di suspense, non vi dirò di cosa di tratta ma vi lascerò come indzio l'immagine qui a fianco.
Riuscite ad indovinare il soggetto di questa storia?
sabato 17 ottobre 2015
No, non morirò per te
Avete mai notato che
nei film le cose più brutte e tremende accadono sempre di notte o in
luoghi bui e inospitali? Come se si volesse relegare ogni dolore in
una sfera particolare, in cui tutto sembra oscuro e spaventoso. Si
cerca di trasmettere allo spettatore il timore e la sofferenza che
pervadono il protagonista attraverso colori e suoni poco rassicuranti
e che lo predispongano a percepire quel momento come cruciale. E
tutto ciò che lo spettatore prova in quel momento magicamente
svanisce quando le luci della sala si riaccendono, dissolvendo la
magia creata ad arte dai produttori.
Ma la realtà è ben
diversa. Le cose brutte accadono sempre, non solo quando tramonta il
sole e la notte stende la sua ombra su tutto e tutti. Ed è proprio
in un giorno in cui il sole splendeva alto nel cielo che incontrai la
morte.
A proposito... mi
chiamo Eleonora e questo è ciò che è mi accaduto.
Era un banale sabato
di marzo e come al solito stavo andando a fare la spesa per il
weekend. Mentre passeggiavo per il centro di Padova, passai accanto
ad una pasticceria e i miei occhi non poterono non notare la
meravigliosa torta esposta in vetrina. Una magnifica ed invitante
Sacher che sembrava supplicarmi di comprarla.
Ovviamente non
resistetti alla tentazione. Era la torta preferita di mio marito,
oltre che la mia, così decisi che sarebbe stata un'ottima idea
portargliela al lavoro visto che non sarebbe rientrato per pranzo.
Era da un po' che non gli facevo una bella sorpresa e questa
settimana era stato così impegnato con il lavoro, che pensai avrebbe
gradito una bella fetta di torta per smaltire un po' di stress.
Mi diressi a passo
spedito verso il suo ufficio, la torta fra le mani e un sorriso
soddisfatto dipinto sul viso. Prima di entrare incrociai Lorenzo, uno
dei colleghi preferiti di mio marito, che fumava una sigaretta vicino
alla porta d'ingresso. Non appena mi vide il suo viso perse colore
per un istante, ma poi mi salutò allegramente.
«Ehi, Ele... come
stai? Tutto bene? Che ci fai qui?» la sua voce era strana. Non
sembrava molto felice di vedermi, ma non avrei saputo spiegarne il
motivo. Avevo sempre pensato di essergli simpatica.
«Ciao Lorenzo,
tutto bene, sì. Sono passata a salutare Maurizio, gli ho portato una
fetta di torta».
«Maurizio è uscito
per una commissione, ritornerà più tardi. Mi dispiace» il suo
sorriso era tirato e mentre mi parlava i suoi occhi cercavano di non
incrociare il mio sguardo.
«Non importa, salgo
un attimo a posare questa sulla sua scrivania e torno a casa».
Lorenzo cercò di
mettersi tra me e la porta, ma non avevo proprio voglia di perdere
tempo con lui, perciò aprii velocemente la porta evitandolo.
L'ascensore nell'atrio era aperto e, dopo aver premuto il pulsante,
cercai di sistemarmi i capelli come meglio potevo, osservando il mio
riflesso sulla porta dell'ascensore.
L'ufficio di mio
marito era all'ultimo piano. Essendo sabato la maggior parte degli
impiegati era a casa a godersi il weekend, per cui l'intero piano era
quasi deserto. Quando arrivai davanti alla porta dell'ufficio sentii
la voce di mio marito che rideva. Era da un po' che non lo sentivo
ridere così. Mi avvicinai e aprii leggermente la porta incuriosita,
ma lo spettacolo che mi si presentò davanti agli occhi mi lasciò
senza fiato.
Lui era davanti alla
scrivania, i pantaloni abbassati e la camicia aperta, mentre Monica,
la sua collega, se ne stava sdraiata lì di fronte con indosso solo
della lingerie di pizzo nero. La torta mi scivolò dalle mani, mentre
quella scena si imprimeva a fuoco nella mia mente.
Maurizio e Monica
alzarono gli occhi e mi fissarono stupiti. Lui aprì bocca per dire
qualcosa, ma non seppi mai cosa. Mi voltai di scatto e corsi come una
furia, ignorando l'ascensore aperto, giù per le scale. Una volta
raggiunto il piano terra imboccai l'uscita, finendo addosso a
Lorenzo.
Senza una parola,
ripresi a correre. Avrei dovuto scusarmi, ma non lo feci. Lui sapeva.
Sapeva tutto. Aveva cercato di fermarmi quando ero arrivata.
Lacrime di rabbia si
riversarono inarrestabili lungo il mio viso, mentre continuavo
imperterrita a correre. Non so come né perché, ma mi ritrovai
vicino alla ferrovia e lì mi fermai. Correre era inutile, i miei
pensieri correvano più veloci di me. Il dolore, la rabbia, la
tristezza, l'umiliazione mi rimanevano avvinghiati addosso
lacerandomi nel profondo dell'anima.
Iniziai a camminare
lentamente, mentre osservavo il mondo che mi circondava. Il sole
splendeva luminoso come sempre, quasi a volersi beffare dei poveri
mortali, ingenuamente convinti che nulla di male possa loro accadere
finché la luce illuminava le loro giornate.
Era mezzogiorno e
sulla banchina non c'era nessuno. Il prossimo treno sarebbe passato
tra cinque minuti. Mi avvicinai al bordo, pensando di farla finita.
Avevo dedicato a
quell'uomo gli anni più belli della mia vita. Avevo rinunciato ad un
lavoro che amavo per trasferirmi nella sua città, messo da parte il
mio desiderio di diventare madre per compiacerlo, perché lui i
bambini li aveva sempre odiati. Avevo fatto di tutto per lui e questo
è il modo in cui mi ripagava? Non era giusto.
Probabilmente quel
bastardo sarebbe stato felice di non avermi più fra i piedi e
sarebbe stato libero di farsi chi voleva. Gli avrei senz'altro reso
la vita più semplice ponendo fine alla mia esistenza.
Sentii il rumore del
treno in lontananza e misi un piede fuori dal bordo, pronta a
lasciarmi cadere. Presto sarebbe tutto finito.
'E perché mai',
mormorò una vocina dentro di me, 'dovresti rendergli anche
quest'ultimo favore?'
Mi allontanai di un
passo, spaventata da quel pensiero.
'Hai dato tutta te
stessa per quell'uomo e ora vorresti concedergli anche la tua vita?
Lui non ti merita. Non merita le lacrime che hai versato per lui e di
certo non merita la tua vita. Hai trascorso la tua esistenza pensando
solo ed esclusivamente a lui, è ora di pensare per te adesso.'
Il treno arrivò e
le sue porte si aprirono e si richiusero davanti a me. Poi ripartì.
La voce aveva
ragione. Non potevo dare a mio marito, anzi ex marito, anche
quell'ennesima soddisfazione. Dovevo vivere la mia vita per me
stessa, non per qualcuno che non mi aveva mai meritata.
Che se ne andasse al
diavolo! Presto o tardi avrebbe capito la fortuna che aveva perso. Ma
sarebbe stato troppo tardi.
Mi asciugai le
lacrime, mi truccai accuratamente e uscii dalla stazione con un
leggero sorriso sulle labbra.
Mentre camminavo
verso casa, il mondo mi sembrava aver cambiato colore. Non era più
grigio come lo era stato prima, ma lievemente tinto di colori che
prima non avevo mai notato. Non che l'oscurità che mi attanagliava
fosse svanita, ma era già qualcosa.
Ero a qualche
centinaia di metri dal mio palazzo, quando vidi una bambina che
rincorreva la sua palla, che rimbalzava lontano da lei, verso la
strada. Troppo impegnata a inseguire il suo giocattolo, la piccola si
fiondò in strada, senza accorgersi che una macchina si stava
avvicinando a grande velocità.
Non pensai, ma agii
d'istinto. Corsi come non avevo mai corso prima e la spinsi via dalla
strada. Sentii appena l'auto venirmi addosso e senza nemmeno
rendermene conto mi ritrovai sdraiata sul marciapiede, una guancia
contro il freddo asfalto, circondata da molte persone. Tra loro c'era
anche la bambina che avevo salvato. Aveva un ginocchio sbucciato e
teneva stretta la sua palla.
Mi resi conto che
forse stavo per morire, ma non mi importava. L'avevo salvata ed era
questa la cosa più importante. Chiusi gli occhi e mi lasciai
trasportare dalla stanchezza che mi pervadeva, felice per la prima
volta dopo tanto tempo.
♠♠♠
No, non morirò per te è una storia un po' particolare, dal retrogusto malinconico ma che custodisce al suo interno un messaggio molto importante, ovvero che la vita è un bene prezioso e che non va sprecata.
Chiamatelo destino, Dio, karma o come preferite, io rimango convinta che le cose accadano per un motivo. Se Eleonora non fosse ritornata sui suoi passi non avrebbe mai salvato la vita di quella bambina. Forse era questo il suo destino, chissà.
La vita è strana e imprevedibile, non dobbiamo mai dimenticarlo.
Chiamatelo destino, Dio, karma o come preferite, io rimango convinta che le cose accadano per un motivo. Se Eleonora non fosse ritornata sui suoi passi non avrebbe mai salvato la vita di quella bambina. Forse era questo il suo destino, chissà.
La vita è strana e imprevedibile, non dobbiamo mai dimenticarlo.
sabato 10 ottobre 2015
Che cos'è l'ispirazione?
"L'ispirazione è ovunque e spesso in posti inaspettati: basta solo tenere gli occhi aperti!"
Se dovessi paragonare l'ispirazione a qualcosa di concreto, probabilmente la paragonerei ad un fiume in piena; a qualcosa di travolgente, capace di scuotere ogni fibra della nostra mente o almeno, secondo la mia modesta opinione, così dovrebbe essere per chi desidera davvero scrivere.
Non si può comandare, ma è qualcosa che talvolta ci prende all'improvviso, in qualsiasi momento della giornata, non importa cosa stiamo facendo, se siamo impegnati o abbiamo qualcosa di importante da fare. A volte basta un nonnulla per accendere quella piccola scintilla che dà il via alla nostra immaginazione, permettendole di andare a briglia sciolta.
Una volta che quella magnifica lampadina si illumina comincia a sfornare idee e non c'è modo di arrestarla; come un fiammifero acceso brucia nell'oscurità della nostra mente fino ad esaurirsi completamente, lasciando alla nostra fantasia il compito di rielaborare ogni pensiero.
Personalmente ogni volta che l'ispirazione bussa alla mia porta sento il bisogno irrefrenabile di agguantare carta e penna e buttar giù tutto ciò che mi sussurra all'orecchio.
Scrivere per me è sempre stato così: istintivo e primordiale. Potrei rimanere ore a fissare una pagina bianca, cercando di scrivere ma, senza ispirazione, quella pagina rimarrebbe inesorabilmente bianca.
Scrivere per me è sempre stato così: istintivo e primordiale. Potrei rimanere ore a fissare una pagina bianca, cercando di scrivere ma, senza ispirazione, quella pagina rimarrebbe inesorabilmente bianca.
Sforzarsi di scrivere è la cosa più innaturale del mondo. Le idee nascono spontanee: da un'immagine, un'emozione, un sogno... talvolta anche dal nulla!
Liberatevi dal desiderio di scrivere ad ogni costo e lasciatevi sedurre dall'ispirazione; lasciatevi cullare dalla vostra immaginazione e anche scrivere diventerà più semplice e spontaneo, Non trovate anche voi?
martedì 6 ottobre 2015
Sorridi
Ogni qual volta ripenso a quel giorno, non riesco a trattenere un
sorriso.
Passeggiavo con il mio carrello in un ipermercato, cercando di non
pensare alla sfortuna che sembrava perseguitarmi ormai da qualche giorno
e che aveva reso il mio umore più nero dell'inchiostro.
Non solo il mio capo mi aveva congedata così su due piedi, dopo che per
mesi mi aveva rassicurata sostenendo che mi avrebbe finalmente assunto a
tempo indeterminato, ma avevo anche perso le chiavi dell'auto, che ora
giaceva abbandonata davanti all'ufficio postale, in attesa che
recuperassi le chiavi di riserva che, ne ero certa, si trovavano nella
cassettiera della camera del mio ex.
Imprecando a mezza voce contro la mia cattiva sorte, attirai lo sguardo
di un'anziana signora che, guardandomi con disapprovazione, mi passò
accanto mormorando qualcosa sui giovani d'oggi e la loro mancanza di
educazione. Le lanciai un'occhiata furente e, dopo aver gettato nel mio
carrello quello che mi serviva, mi avviai verso la cassa.
Buttai alla rinfusa il contenuto del carrello sul rullo, rispondendo al
saluto di un giovane commesso con un semplice cenno del capo. Pagai
senza nemmeno guardarlo, arraffai lo scontrino e uscii.
Solo quando mi
misi al volante mi accorsi che stringevo ancora in mano lo scontrino.
Controllai che fosse tutto a posto e notai una scritta a penna sul
retro: "Ricordati di sorridere sempre. Il mondo ha bisogno anche del tuo
sorriso".
E io non potei fare a meno di sorridere.
Ho presentato questo racconto al concorso "Coop for Words" (senza successo ahimé), nella sezione I racconti dello scontrino, in cui bisognava scrivere un racconto molto breve che poteva essere idealmente redatto sul retro di uno scontrino.
Ho scritto queste poche righe per ricordarvi, e per ricordare a me stessa, che sorridere è importante, non solo perché ci fa stare meglio, ma anche perché il nostro sorriso può migliorare la giornata di qualcun altro. Troppo spesso, quando andiamo a fare la spesa, entriamo in un negozio o prendiamo l'autobus, incontriamo persone avvolte ciascuna nel proprio mondo pieno di propri problemi e che magari hanno dimenticato come sorridere. Più passa il tempo e più mi accorgo di quanto stia aumentando questo malessere generale che sembra spegnere l'animo delle persone.
Se possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione, anche un piccolo gesto come sorridere o salutare qualcuno, come ad esempio una commessa o l'autista dell'autobus che prendete ogni giorno, perché semplicemente non farlo?
giovedì 1 ottobre 2015
Un angelo improvvisato
Carla
si strinse nel cappotto mentre camminava spedita per le vie della
città. Non sapeva dove le gambe la stessero portando. Probabilmente
il più lontano possibile da quel luogo infernale in cui aveva
passato metà della sua vita, lavorando giorno e notte per quattro
soldi. Non riusciva a credere che dopo quindici anni di duro lavoro
l'avessero licenziata con una scusa banale, sostenendo che, a causa
della crisi, erano stati costretti a ridurre il personale.
La
verità però era un'altra, lo sapeva bene. L'avvocato Marconi e il
suo socio avevano preferito liberarsi di lei solamente per assumere
carne più fresca e raccomandata, senza preoccuparsi del fatto che a
quarantacinque anni trovare un nuovo lavoro per lei sarebbe stato
quasi impossibile.
Cercando
di reprimere la rabbia che minacciava di sopraffarla, Carla scostò
una ciocca di capelli che le danzava dispettosa sul viso e affrettò
il passo. Erano quasi le quattro del pomeriggio e iniziava a essere
stanca di girare senza sosta come un'anima in pena.
Si
fermò un momento e si guardò attorno. Senza rendersene conto era
arrivata fino a Piazzale Europa, dall'altro capo della città. Lì,
in una piccola via laterale, c'era la casa in cui aveva trascorso la
sua infanzia e la sua adolescenza. Le sembrava passata una vita.
Esausta e disperata, Carla si accasciò su una panchina, lasciandosi
cullare da vecchi ricordi legati a quel luogo. Si rivide bambina,
mentre giocava a pallone insieme ad altri bambini del quartiere o
mentre si divertivano a saltare la corda.
Quella
piazza era stata il loro campo da gioco ed era sempre stata presente
in tutti i suoi ricordi più belli. Lì aveva trascorso gli anni
migliori della sua vita: aveva giocato da mattina a sera con gli
altri bambini, aveva imparato ad andare in bicicletta e ad usare i
pattini. E come dimenticare quel giorno, in seconda media, in cui
Edoardo le aveva dato il suo primo bacio proprio su quella panchina?
Quanti ricordi!
Il suo
sguardo abbracciò l'intera piazza, mentre la tristezza le riempiva
il cuore. La piazza era quasi deserta. Non c'erano più bambini che
correvano e giocavano allegri e spensierati. Un gruppo di ragazzini
se ne stava ammassato in un angolo, ognuno col naso incollato al
proprio cellulare, rinchiuso in un mondo solitario. La gente che
attraversava la piazza, invece, non la degnava di uno sguardo, come
se per loro quella fosse una strada qualunque e senza alcuna
importanza.
«E'
triste, non è vero?» disse una voce alla sua destra, spaventandola.
Carla
si voltò di scatto. Si era persa a rimuginare così profondamente
sulla malinconia della sua vita, da non essersi nemmeno accorta che
un'anziana signora si era seduta accanto a lei.
«Come,
prego?» domandò confusa.
«Dicevo,
non è triste vedere come si è ridotta questa piazza? Sa, una volta
portavo mia figlia qui quando era piccola. Si divertiva un mondo. Mi
sarebbe piaciuto portarci i miei nipotini, ma sembra quasi che non
sappiano che cosa voglia dire stare all'aperto e inventare nuovi
giochi per divertirsi. Non trova anche lei?»
Carla
la osservò per un momento. Avrà avuto all'incirca ottant'anni ed
era avvolta da un cappottino color vinaccia. Morbidi riccioli bianchi
le incorniciavano il volto, illuminato da un ampio sorriso. Sebbene
tutte le altre panchine della piazza fossero vuote, aveva scelto di
sedersi accanto a lei. Forse si sentiva sola e aveva bisogno di
qualcuno con cui parlare, peccato che lei non fosse per niente di
buonumore.
«Ha
ragione, non è più quella di una volta» rispose Carla,
distogliendo lo sguardo da lei.
«Eh,
le cose cambiano, ma non sempre in meglio», disse la signora,
accogliendo la risposta di Carla come un invito a proseguire.
«Tuttavia immagino che non sia per questo motivo che lei è triste,
dico bene?».
Carla
era stupefatta. Possibile che il suo dolore fosse così evidente?
«Dice
bene, ma preferirei non parlarne». Il suo tono di voce era fermo, ma
celava al suo interno una grande tristezza, mescolata a una forte
rabbia. Aveva sempre lavorato più degli altri, rinunciato a molti
fine settimana e festività varie, pur di essere sempre a
disposizione dei suoi datori di lavoro, dimostrando loro di essere
una valida risorsa. Ora invece che le rimaneva?
«Sa
qual è il segreto per vivere felici?» le domandò la vecchietta,
sottraendola dai suoi pensieri. «Cercare sempre il lato positivo di
ogni cosa, questo è il segreto. Qualunque cosa le sia successa, di
sicuro avrà un lato positivo, ma se non riesce a vederlo stia certa
che le porterà comunque del bene. La veda come un'opportunità di
tirare fuori il meglio da se stessa, invece che come un ostacolo. La
vita è costellata di momenti bui, ma se passiamo il tempo a
rimuginarci continuamente sopra, saremo troppo impegnati ad
aspettarci il peggio e ci perderemo tutto il buono che la vita porta
con sé. Non trova?»
Carla
era senza parole. Sembrava quasi che quella donna fosse in grado di
leggerle dentro. Forse aveva ragione. Aveva passato troppo tempo a
soffocare se stessa dietro ad un lavoro che non aveva mai amato. Che
fosse giunto il momento di intraprendere una strada diversa e più
gratificante? L'anziana signora le aveva suggerito di cambiare punto
di vista e di guardare il mondo da un'altra prospettiva, senza
fermarsi di fronte agli ostacoli ma di trasformarli in opportunità
che la rendessero se non felice, almeno soddisfatta del percorso
intrapreso.
«Grazie
di cuore» mormorò Carla alzandosi e rivolgendo a quella sconosciuta
un ampio sorriso. «Seguirò il suo consiglio».
«Io
non ho fatto nulla» rispose serafica la donna.
«Mi
ha cambiato la giornata». Carla se ne andò con il cuore più
leggero, certa che non avrebbe mai dimenticato quel bizzarro
incontro. Quella piazza le aveva regalato un altro momento magico.
La
vecchietta la guardò allontanarsi, felice di aver fatto del suo
meglio per alleviare la sua tristezza, quando una voce la chiamò:
«Elvira! Ti sei messa di nuovo a impicciarti degli affari altrui,
vero?»
«Che
cosa te lo fa credere, Greta?» rispose ostentando una finta
innocenza.
«Ti
ho visto sai che parlavi con quella donna. Non la conosci nemmeno.
Proprio non ce la fai a tenere fuori il tuo naso dalla vita degli
altri, eh?» la sgridò l'altra.
«Forse,
se fossi arrivata puntuale e non in ritardo come tuo solito, non
avrei avuto alcun bisogno di chiacchierare con una sconosciuta per
evitare di annoiarmi a morte nell'attesa che tu mi degnassi della tua
presenza» la rimbeccò lei. La verità era che quella donna le
ricordava tanto sua figlia Elisa e le si era stretto il cuore quando
l'aveva vista seduta su quella panchina. Non sopportava vedere la
gente soffrire, specialmente qualcuno che assomigliava così tanto ad
una persona a lei cara, ma non aveva alcuna voglia di spiegarlo
all'amica. Era assolutamente certa che non avrebbe capito.
«Dai
su, non tenermi il broncio cara» le disse Elvira prendendola a
braccetto. «Che ne dici di andarci a prendere un bel cappuccino al
bar qui di fronte?»
«Mmmh...
con un bel cornetto al cioccolato?» Greta si inumidì le labbra
pregustando quella prelibatezza.
«Ma
certamente, offro io».
«Allora
mi sa che potrei anche perdonarti».
Entrambe
scoppiarono a ridere e si avviarono verso il bar mentre le luci della
piazza iniziavano ad illuminare la sera.
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