giovedì 24 dicembre 2015

Tango a Parigi

Ludovica guardava sconsolata la valigia che, abbandonata sul letto, proprio non voleva saperne di chiudersi.
«Maledizione!»
«Se non avessi comprato tutti quei souvenir, la valigia non farebbe così tanta fatica a chiudersi» la rimproverò il fratello, completamente stravaccato sul letto, senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.
«Chiudi il becco, Giò!» gli ordinò.
«Nervosetta, eh?!» la prese in giro lui.
Nervosa era un eufemismo. Ludovica era a dir poco furiosa. Si trovavano a Parigi, in una delle più belle città d’Europa, ma erano sempre stati costretti a seguire i loro genitori in questo o quel museo, senza avere la benché minima possibilità di godersi qualche attimo in santa pace per vedere ciò che desideravano. Lei e Giovanni non erano più bambini e avrebbero meritato molta più libertà, fiducia e considerazione da parte loro.
Ludovica gli lanciò un’occhiataccia.
«Non fare così, Ludo. So come risollevarti il morale» e, alzatosi dal letto le si avvicinò, sventolandole davanti al viso il display del cellulare.
«Smettila, stupido!» disse infastidita, spostandogli il braccio.
«Guarda meglio» bisbigliò Giovanni divertito, mostrandole di nuovo il display. Sullo schermo c’era la mappa della metropolitana di Parigi.
«Quindi?» sbottò lei senza capire.
«Quindi questa sera ce ne andremo a fare un bel giretto per Parigi, senza che mamma e papà lo scoprano».
«Ma sei impazzito?!»
«Per niente! A quest’ora saranno già andati a dormire, visto che ci dobbiamo alzare presto domani e papà deve guidare tutto il giorno. Possiamo uscire e tornare senza che lo sappiano. Abbiamo più di vent’anni, cavolo! Ci meritiamo un po’ di libertà».
«Confermo! Sei completamente uscito di senno» disse Ludovica di fronte all’espressione maliziosa del fratello.
«Puoi restare qui, se vuoi» mormorò lui afferrando la giacca e preparandosi ad uscire, «io andrò comunque».
Ludovica lo guardò titubante. Da una parte voleva uscire e vedere Parigi senza avere i genitori perennemente addosso. Voleva, almeno per una sera, sentirsi libera e fare quello che desiderava. Dall’altra parte si sentiva in colpa perché non avrebbe voluto disobbedire ai suoi e temeva le eventuali ripercussioni nel caso in cui fossero stati scoperti.
Giovanni aprì la porta e uscì dalla stanza. Stava per richiudersela alle spalle quando Ludovica esclamò: «Aspettami!»
«Ah, ti sei decisa finalmente!»
«Qualcuno dovrà pur tenerti d’occhio» rispose a mo’ di scusa, mentre, ancora incerta, si dava un’ultima occhiata allo specchio prima di uscire.
Soffocando una risata, Giovanni si voltò e si avviò lungo le scale.

***

Le metropolitane, in qualunque parte del mondo ci si trovi, non sono certo il posto più sicuro o pulito. Ludovica lo sapeva bene, dato che la madre non perdeva mai l’occasione per ripeterglielo. Non che ce ne fosse bisogno. Bastava guardarsi un po’ intorno per sentirsi ben poco al sicuro. Se ne stava seduta sul bordo del seggiolino, tenendosi stretta la borsetta fra le braccia, chiedendosi ancora se aveva fatto bene a dar retta a suo fratello.
«Rilassati, Ludo. Ormai è fatta, quindi cerca di non pensarci troppo su e goditi questo momento» disse lui sporgendosi in avanti verso di lei.
«Hai ragione» bisbigliò.
Giovanni la guardò a bocca aperta: «Mi stai dando ragione? Oh, mamma! Mi sa che hai la febbre sorellina», scherzò lui, «Forse dovrei riportarti indietro prima…»
Ludovica cercò di sferrargli un calcio sullo stinco ma quasi perse l’equilibrio nel tentativo, facendo sbellicare il fratello dalle risate. Giovanni iniziò a ridere così forte che alcuni dei passeggeri si voltarono a fissarli.
Fortunatamente l’albergo non era molto distante dal luogo in cui Giovanni voleva andare così, dopo appena due fermate, fece cenno alla sorella e scesero a Champ de Mars 1. Gli occhi di Ludovica si illuminarono non appena lesse il cartello: «Mi stai portando a vedere la Tour Eiffel, non è vero?»
«Ci sei arrivata. Era ora!» la stuzzicò lui.
«Dovresti sapere ormai che non ho il benché minimo senso dell’orientamento. Per me la piantina della metropolitana rimarrà un mistero» rispose lei con un sorriso. Giovanni notò con piacere che finalmente iniziava a rilassarsi.
Una volta usciti dalla metro, Ludovica rimase incantata dall’atmosfera in cui si trovava. Si trovavano sulla rive gauche 2 della Senna, la notte era ormai scesa ma l’oscurità non riusciva ad avvolgere completamente la città. Trascinò Giovanni fino al parapetto da cui si poteva godere di una vista straordinaria. Gli edifici illuminati si riflettevano sulla Senna creando giochi di luce incantevoli. Non c’erano dubbi: Parigi era davvero la città dell’amore. L’atmosfera che si respirava sarebbe stata in grado di sciogliere anche il cuore più duro.
Voltandosi verso il fratello, Ludovica vide la Tour Eiffel in lontananza e rimase senza fiato. La Dame de Fer 3 era interamente rivestita di luci dorate e si stagliava contro l’oscurità del cielo. Era la cosa più bella che avesse mai visto. Non ci sono parole per descrivere l’emozione che provò in quel momento. Era estasiata.
Essere usciti di nascosto ora non le sembrava più una brutta idea.
«Forza, Ludo. Andiamo!» esclamò Giovanni dopo aver guardato l’orologio.
«Dove?» chiese lei distogliendo a fatica gli occhi da quella meraviglia .
«A vederla da vicino» rispose ridendo e si mise a correre, inseguito dalla sorella.
Quando arrivarono davanti la Tour Eiffel mancavano un paio di minuti alle undici. Ludovica ansimava per la corsa, ma questo non le impedì di maledire il fratello.
«Idiota! Era necessario correre via in quel modo???»
«Certo che sì» rispose sfoderando uno dei suoi finti sorrisetti angelici. Ludovica non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Era impossibile rimanere seri di fronte alle espressioni da cretino che suo fratello adorava sfoggiare quando ne aveva voglia.
«Guarda» disse lui allo scoccare delle undici, indicandole la Tour Eiffel.
Ludovica si voltò e rimase a fissarla a bocca aperta. Se prima aveva pensato che fosse bellissima, ora le sembrava magnifica. Sulla sua superficie erano stati incastonati, come dei diamanti, dei faretti bianchi che brillavano allo scoccare di ogni ora, rendendo l’atmosfera ancora più magica e spettacolare. Rimasero lì per cinque minuti, il naso rivolto verso quella meraviglia, finché l’incantesimo non ebbe fine.
«Bella, vero?»
Ludovica, troppo imbambolata per rispondere, si limitò ad annuire. Sarebbe rimasta volentieri lì ad ammirarla fino all’alba, ma Giovanni aveva altri piani per quella notte. A malincuore si lasciò trascinare via, lasciandosi la Tour Eiffel alle spalle. Non poteva fare a meno di voltarsi in continuazione, suscitando l’irritazione del fratello che, seccato, si voltò e se la caricò sulla spalla.
«Mettimi giù, stupido!» protestò lei.
«Non ne ho nessuna intenzione» rispose serafico, continuando a camminare lungo la riva della Senna.
«Mettimi giù, ho detto!» ripeté lei alzando la voce e attirando gli sguardi di alcuni passanti.
«Mettimi giù o dirò alla mamma che mi hai costretta ad uscire stasera», lo minacciò.
Giovanni si fermò e lasciò la presa. Ludovica si ritrovò a terra come un sacco di patate.
«Come comanda lei, padrona» disse lui sorridendo, facendole una sorta di inchino.
La faccia di Ludovica si tinse di un rosso acceso, ma fortunatamente la scarsità di lampioni celò il suo imbarazzo ai pochi spettatori che si erano fermati ad osservarli. Ignorando la mano tesa del fratello si rimise in piedi e gli voltò le spalle, continuando a camminare nella direzione in cui erano diretti. Giovanni le corse dietro e le mise un braccio intorno al collo:
«Mi dispiace, Ludo» si scusò.
«Idiota!»
«Dai su, non fare così. È la nostra unica sera di libertà».
«Era necessario gettarmi a terra?» sibilò.
«Lì te la sei un po’ cercata» rispose lui sovrappensiero, «Animo, ragazza mia! C’è un’altra cosa che vorrei mostrarti».
«E cosa?» chiese incuriosita, dimenticandosi di avercela con lui.
«Mmmh… è una sorpresa!»
I due ragazzi camminarono per un po’ lungo la riva. Appoggiata al braccio del fratello, gli occhi di Ludovica saettavano a destra e a sinistra cercando di non perdere nessun particolare di ciò che vedevano. Continuando a camminare, i suoi pensieri vennero interrotti da una melodia particolare. Seguendo la musica notarono un gruppo di persone che danzavano poco più avanti, mentre altri li osservavano.
«La sera alcuni ballerini di tango si radunano qui per ballare», le spiegò Giovanni, «soprattutto d’estate quando le scuole di ballo sono chiuse. Vieni, sediamoci su quella panchina».
Affascinata dalla sensualità che i ballerini trasmettevano, Ludovica si accorse a malapena che suo fratello l’aveva lasciata da sola come al solito per accalappiare una biondina che, come loro, si era fermata a guardare. Lanciando un’occhiata alla ragazza – la classica ragazza tutta curve, trucco ed extension, attratta solo da super palestrati – Ludovica pensò che anche quella volta suo fratello non aveva alcuna speranza. Doveva riconoscerglielo, però, Giovanni non si lasciava scoraggiare e ci provava sempre e comunque. Intenta ad osservare il fratello che sfoderava una delle sue tante frasi per rimorchiare, non si era accorta che uno dei ballerini si era allontanato dagli altri e le si era avvicinato. Sentendosi osservata, Ludovica si girò e incontrò il suo sguardo, due splendidi smeraldi, incorniciati da morbidi riccioli neri che gli accarezzavano la fronte. Il ragazzo le sorrise e le porse la mano:
«Voulez-vous danser, Mademoiselle?» 4
«Je… ne…» balbettò confusa. Avrebbe voluto spiegargli che non sapeva ballare ma purtroppo di francese conosceva solo quattro o cinque parole. Era già un miracolo che fosse riuscita a capire cosa le aveva detto.
Vedendola così impacciata, il ragazzo la prese per mano e la trascinò gentilmente in mezzo agli altri ballerini che non avevano mai smesso di ballare. Una volta raggiunto il centro di quella pista improvvisata, prese la mano sinistra di Ludovica e se la posò sulla spalla mentre la sua mano destra scivolò dolcemente dietro la schiena di lei, attirandola a sé.
Se non fosse stata inebriata dal suo sguardo probabilmente Ludovica, timida com’era, non avrebbe mai accettato di mettersi così al centro dell’attenzione. Una piccola parte di lei era consapevole che una volta rimasta sola col fratello, lui non avrebbe esitato a prenderla in giro per la figuraccia che avrebbe sicuramente fatto, visto che non sapeva ballare. Persino un lampione era meno rigido di lei. Ogni volta che i suoi amici decidevano di andare in discoteca, Ludovica inventava qualche scusa.
Questa volta però, invece di lasciarsi guidare dalla musica, Ludovica si lasciò guidare da quel bellissimo ragazzo che aveva di fronte e che non smetteva di guardarla. Le sarebbe piaciuto chiedergli il suo nome, ma non sapeva come, così si limitò ad immergersi nei suoi occhi mentre lui la guidava. Man mano che ballavano i loro corpi sembravano attirarsi come due calamite, avvicinandosi sempre di più, finché Ludovica si ritrovò stretta fra le sue braccia. Poteva quasi sentire il cuore del ragazzo battere contro il suo. Lui appoggiò la fronte alla sua e le sorrise. Il suo sorriso era caldo e suadente e Ludovica non poté fare a meno di arrossire. Sembrava quasi di essere in un sogno e lei avrebbe voluto restare così per sempre, ma purtroppo anche i sogni sono destinati a finire.
Ludovica udì la voce del fratello che la chiamava e si voltò. Lo vide poco distante, in mezzo alla gente che li osservava. Le stava facendo cenno che era ora di andare. Lei si girò verso il ragazzo che, deluso, le accarezzò il braccio. Aveva compreso che lei non poteva restare e sembrava visibilmente triste.
Pensando che quella era la loro ultima sera a Parigi e che non l’avrebbe più rivisto, Ludovica fece una cosa che sorprese persino lei stessa. Si avvicinò a lui e, dopo avergli sfiorato il viso, lo baciò. Le labbra del ragazzo si schiusero dolcemente e lui la strinse tra le sue braccia. Quando le loro lingue furono costrette a separarsi, Ludovica guardò in quell’abisso verde che, per la prima volta nella sua vita, aveva scatenato in lei una forza e un coraggio che non sapeva di avere, abbattendo ogni timidezza. Lui le sorrise di nuovo e lei, dopo aver sfiorato le labbra di lui per l’ultima volta, si girò e corse via, senza voltarsi indietro.

1 Significa “Campo di Marte”. È un giardino pubblico di Parigi, delimitato a nord-ovest dalla Tour Eiffel.
2
In francese significa “riva sinistra”.

3 “Dama di Ferro”, altro nome con cui è conosciuta la Tour Eiffel.
4
“«Volete ballare, signorina?»”


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Questa storia nasce proprio a Parigi, durante una stupenda e romantica visita guidata sulla Senna. Era una sera d'agosto e il battello scivolava placidamente sul fiume. Ogni angolo di Parigi era illuminato e sulle rive ballerini di ogni tipo danzavano e si divertivano. Era davvero uno spettacolo straordinario. Quella serata mi è rimasta nel cuore e ho cercato di ricreare parte di quella magica atmosfera con questo racconto.

Vi faccio tantissimi auguri e spero che tutti i vostri sogni si realizzino!

 

domenica 13 dicembre 2015

Ricordi di Natale


Barbara osservò i bambini dormire sereni nei loro letti, un dolce e tenero sorriso stampato su ognuno di quei bei visetti. Era la notte di Natale, ed era stata veramente un'impresa convincerli ad andare a letto. Anna e Tommaso avevano supplicato a lungo di rimanere alzati ad aspettare l'arrivo di Babbo Natale, ma quando aveva detto loro che se fossero rimasti in piedi lui non sarebbe venuto, si erano decisi, seppur controvoglia, ad andare a letto.
Come ogni Natale, Barbara aveva preparato loro una bella cioccolata calda, accompagnata da dei graziosi biscotti che i bambini l'avevano aiutata a realizzare nel pomeriggio, e avevano prepato una cioccolata calda e un piattino di biscotti anche per Babbo Natale, insieme ad una letterina di ringraziamento che Anna aveva scritto per lui.
Barbara socchiuse la porta della loro stanza mentre si avviava verso il soggiorno.
«Si sono addormentati?» domandò il marito.
«Sì, dormono come sassi».
«Bene» e, afferrato uno dei biscotti dal piattino, se lo mise in bocca e aprì la cassapanca dove ogni anno nascondevano i regali per i bambini. Era strano, ma quello era l'unico posto in cui non pensavano mai di andare a guardare. La settimana prima di Natale giravano per casa rovistando ovunque e mettendo tutto a soqquadro, ma a nessuno dei due era mai venuto in mente di guardare nella cassapanca, probabilmente perchè sono le cose che abbiamo sotto il naso ogni giorno che si danno per scontate.
Mentre Massimo spazzolava la merenda di Babbo Natale, Barbara disponeva accuratamente i regali sotto l'albero, certa che l'indomani i bambini si sarebbero alzati presto e sarebbero accorsi a controllare il loro bottino, buttando tutto all'aria.
Dopo aver finito, Barbara alzò la testa e lo sguardo le cadde su uno degli angioletti che decoravano l'albero. Era un angelo che sua madre aveva realizzato all'uncinetto quando lei era solo una bambina. Lo sfiorò delicatamente con l'indice.
Quanto le mancava sua madre, specialmente in quel periodo dell'anno in cui l'affetto e il calore della famiglia sanno scaldare il cuore come nient'altro al mondo. Sua madre era morta quattro anni prima e non passava giorno in cui lei non sentisse la sua mancanza, ma a Natale... a Natale quel vuoto bruciava dolorosamente nel petto.
Barbara chiuse gli occhi, mentre la mente tornava indietro, ad un Natale passato. Lei e sua madre erano davanti al caminetto della loro casa di campagna. Se ne stavano sotto una coperta di lana a sorseggiare una cioccolata calda con la panna e un pizzico di cannella sopra, parlando del più e del meno, mentre suo padre disponeva sull'albero gli angioletti che sua madre aveva realizzato con tanta cura durante l'avvento. Tutte le decorazioni dell'albero erano rigorosamente fatte a mano da sua madre perchè, come ripeteva sempre lei, non c'era niente di più bello e prezioso di qualcosa fatto con le proprie mani.
Barbara riemerse dai suoi ricordi e sorrise all'angioletto, rimettendolo al suo posto. Sì, pensò, sua madre le mancava ogni giorno, ma vedere quelle decorazioni appese le ricordava che lei era sempre presente, nel suo cuore, negli occhi dei suoi figli e in ogni singolo gesto che compiva ogni giorno della sua vita.
Fece un lungo respiro profondo e l'odore di cannella che permeava l'aria le solleticò le narici, ricordandole che nessuno ci lascia mai per sempre.
Barbara prese suo marito per mano e si avviò verso la loro camera da letto. Erano ormai le due del mattino, e di sicuro le due piccole pesti si sarebbero svegliate alle sette, per aprire i loro regali. L'angioletto, intanto, continuò ad ondeggiare un altro secondo sul suo ramo, il sorriso dipinto in una smorfia buffa, mentre ogni rumore svaniva e la casa piombava dolcemente nel silenzio che precede i sogni. 
 
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L'avvicinarsi delle festività natalizie porta sempre con sè un po' di malinconia. Natale è una festa da trascorrere in famiglia o con le persone a noi più care e, dunque, in questo periodo la mancanza di una persona amata si fa sentire più forte. Il vuoto che sentiamo nel nostro cuore sembra aprirci un abisso dolceamaro fatto di ricordi. 
Questo racconto è un modo per ricordare che anche se quelle persone non ci sono più, rimarranno per sempre nei nostri cuori e continueranno a vegliare su di noi.

lunedì 7 dicembre 2015

Un anniversario speciale


L'imbarcazione scivolava dolcemente tra le onde. Gli occhi di Marta scrutavano meravigliati il sole che, come un amante, si tuffava appagato tra le braccia del mare. Il cielo era un'esplosione di colori e il vento le solleticava il viso. Marta chiuse gli occhi e sorrise. Era stata una giornata perfetta, all'insegna del romanticismo. Non poteva desiderare di più.
Il suo sguardo si posò sul marito, alla guida del motoscafo. Era fortunata ad averlo incontrato, lo sapeva bene. Fabio era una delle persone più dolci e altruiste che avesse mai conosciuto. Difficile non restare conquistati dal suo buon cuore e dal suo sorriso. Per festeggiare il loro secondo anniversario aveva pensato proprio a tutto: si era fatto prestare il motoscafo della sorella, aveva preparato un cestino da picnic per la cena e ora l'avrebbe portata a vedere i fuochi d'artificio sulla laguna di Venezia.
Sì! Era davvero una donna fortunata. A volte si domandava cosa mai trovasse in lei e cosa l'avesse spinto a sceglierla tra tutte le donne che gli sbavavano dietro. Una volta aveva provato a chiederglielo, ma lui, scherzando, le aveva risposto che si era innamorato alla follia dei suoi spaghetti alle vongole.
«Cosa c'è?», le domandò Fabio dopo aver notato il suo sguardo assorto.
«Niente», mentì lei con un sorriso, «Ricordami solo di ringraziare tua sorella per la barca».
«Non ringraziarla, fidati».
«Perché no?»
«Perché in cambio le ho promesso che terremo i gemelli il prossimo fine settimana».
Marta rimase senza parole. I gemelli erano due piccoli mostriciattoli di tre anni che passavano le giornate a correre per casa distruggendo, come un terremoto, tutto ciò che capitava loro a tiro. Lei arricciò le labbra al solo pensiero. Sarebbero stati due giorni tremendamente lunghi.
Notando l'espressione dipinta sul volto della moglie, Fabio non riuscì a trattenersi dal ridere.
«Suvvia amore, non sono così terribili» la prese in giro lui, sedendosi accanto a lei.
«No no, sono due angioletti», ribatté facendogli la linguaccia, «Ma solo quando dormono».
«Vorrà dire che gli daremo un litro di camomilla a testa»
«Nemmeno tutta la valeriana del mondo potrebbe calmare quelle due graziose bestioline», sbuffò.
Fabio la strinse dandole un piccolo bacio sulla punta del naso, poi immerse il suo viso nei suoi capelli. Dopo essersi inebriato del loro profumo, le sussurrò all'orecchio: «​Stavo scherzando».
Marta si staccò da lui​: «Come???​»
«​Era uno scherzo», ripeté lui.
Risentita, iniziò a colpirlo con un cuscino.
«​Scusa, scusa, scusa» la implorò lui per farla smettere.
Non appena Marta abbassò la mano che reggeva il cuscino, Fabio le saltò addosso e, bloccandola con il proprio corpo contro il ​​​bordo dell'imbarcazione, iniziò a farle il solletico.
«​Dai, Fabio... Smettila!!!» urlò lei tra una risata e l'altra.
«​Come desideri», l'accontentò lui.
Marta si aggrappò al bordo del motoscafo e lo fissò imbronciata.
Quell'espressione la faceva sembrare una bambina capricciosa. Una bellissima bambina capricciosa. Permalosa com'era, Fabio non le avrebbe mai confessato che era proprio per quel suo viso imbronciato, e per la buffa espressione che assumeva​​, che si era perdutamente innamorato di lei.
Appoggiò la fronte contro la sua e si immerse nelle profondità di quei meravigliosi occhi color cioccolato.
«​So come farmi perdonare»​ bisbigliò e, senza staccare gli occhi dai suoi, si allontanò di qualche passo, afferrando la borsa frigo da cui estrasse una piccola scatola di cartone che mise tra le mani di lei.
Quando Marta vide cosa conteneva, la sua espressione corrucciata lasciò il posto ad un dolcissimo sorriso denso di ricordi. All'interno della scatola c'era una coppetta di tiramisù, identica a quella che avevano mangiato al loro primo appuntamento.
«Sono tornato in quel ristorante, ieri sera, e l'ho comprato», le rivelò, «Basta per farmi perdonare?»
Come risposta Marta gli accarezzò i capelli e lo attirò a sé, mordicchiandogli il labbro inferiore.
La serata trascorse​​​ tranquilla. Il cielo era limpido e i due si misero ad osservare le stelle, divertendosi a trovare le varie costellazioni e inventandone di nuove.
Quando iniziarono i fuochi, Marta abbandonò le calde braccia di Fabio e si precipitò ad ammirarli, poggiando i gomiti sul bordo del motoscafo.
Fabio rimase seduto dall'altra parte, gli occhi fissi su di lei. Piacevolmente sorpreso, si accorse che, ogni volta che i fuochi d'artificio illuminavano la notte, il vestito bianco che Marta indossava diveniva quasi trasparente, permettendogli di assaporare con gli occhi le dolci curve della moglie. Senza pensarci due volte, si alzò e l'abbracciò da dietro, mentre le sue mani le sfioravano lentamente le braccia, per poi spostarsi lungo i fianchi.
«Non è la cosa più bella che tu abbia mai visto?» mormorò lei indicando lo spettacolo pirotecnico.
«La cosa più bella sei tu» sussurrò lui, «Ora ti andrebbe di dirmi quella cosa che hai tanta paura di dirmi?».
Fabio la strinse a sé senza permetterle di voltarsi, e una mano scese ad accarezzarle il ventre.
Spiazzata, Marta rimase senza parole. Come poteva saperlo?​
«Ho visto l'ecografia nella tua borsa l'altra sera, mentre cercavo le chiavi dell'auto. Perché non me l'hai detto prima?» domandò con voce tranquilla, senza alcuna nota di risentimento.
«Non lo so» disse lei, rispondendo più a se stessa che a lui, «Forse pensavo che una volta detto a qualcuno sarebbe diventato reale».
La sua Marta.
Fabio la fece voltare verso di lui, prendendole la testa fra le mani.
La sua dolce, permalosa, testarda e timorosa Marta. Aveva sempre paura di ogni cosa, di ogni piccola novità o cambiamento. E quello era un grosso cambiamento.
La baciò dolcemente, cercando di infonderle tutto l'amore che provava per lei.
Marta incrociò il suo sguardo.
«Speriamo solo non siano come i gemelli» mormorò e lui non poté non augurarsi la medesima cosa.