giovedì 24 dicembre 2015

Tango a Parigi

Ludovica guardava sconsolata la valigia che, abbandonata sul letto, proprio non voleva saperne di chiudersi.
«Maledizione!»
«Se non avessi comprato tutti quei souvenir, la valigia non farebbe così tanta fatica a chiudersi» la rimproverò il fratello, completamente stravaccato sul letto, senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.
«Chiudi il becco, Giò!» gli ordinò.
«Nervosetta, eh?!» la prese in giro lui.
Nervosa era un eufemismo. Ludovica era a dir poco furiosa. Si trovavano a Parigi, in una delle più belle città d’Europa, ma erano sempre stati costretti a seguire i loro genitori in questo o quel museo, senza avere la benché minima possibilità di godersi qualche attimo in santa pace per vedere ciò che desideravano. Lei e Giovanni non erano più bambini e avrebbero meritato molta più libertà, fiducia e considerazione da parte loro.
Ludovica gli lanciò un’occhiataccia.
«Non fare così, Ludo. So come risollevarti il morale» e, alzatosi dal letto le si avvicinò, sventolandole davanti al viso il display del cellulare.
«Smettila, stupido!» disse infastidita, spostandogli il braccio.
«Guarda meglio» bisbigliò Giovanni divertito, mostrandole di nuovo il display. Sullo schermo c’era la mappa della metropolitana di Parigi.
«Quindi?» sbottò lei senza capire.
«Quindi questa sera ce ne andremo a fare un bel giretto per Parigi, senza che mamma e papà lo scoprano».
«Ma sei impazzito?!»
«Per niente! A quest’ora saranno già andati a dormire, visto che ci dobbiamo alzare presto domani e papà deve guidare tutto il giorno. Possiamo uscire e tornare senza che lo sappiano. Abbiamo più di vent’anni, cavolo! Ci meritiamo un po’ di libertà».
«Confermo! Sei completamente uscito di senno» disse Ludovica di fronte all’espressione maliziosa del fratello.
«Puoi restare qui, se vuoi» mormorò lui afferrando la giacca e preparandosi ad uscire, «io andrò comunque».
Ludovica lo guardò titubante. Da una parte voleva uscire e vedere Parigi senza avere i genitori perennemente addosso. Voleva, almeno per una sera, sentirsi libera e fare quello che desiderava. Dall’altra parte si sentiva in colpa perché non avrebbe voluto disobbedire ai suoi e temeva le eventuali ripercussioni nel caso in cui fossero stati scoperti.
Giovanni aprì la porta e uscì dalla stanza. Stava per richiudersela alle spalle quando Ludovica esclamò: «Aspettami!»
«Ah, ti sei decisa finalmente!»
«Qualcuno dovrà pur tenerti d’occhio» rispose a mo’ di scusa, mentre, ancora incerta, si dava un’ultima occhiata allo specchio prima di uscire.
Soffocando una risata, Giovanni si voltò e si avviò lungo le scale.

***

Le metropolitane, in qualunque parte del mondo ci si trovi, non sono certo il posto più sicuro o pulito. Ludovica lo sapeva bene, dato che la madre non perdeva mai l’occasione per ripeterglielo. Non che ce ne fosse bisogno. Bastava guardarsi un po’ intorno per sentirsi ben poco al sicuro. Se ne stava seduta sul bordo del seggiolino, tenendosi stretta la borsetta fra le braccia, chiedendosi ancora se aveva fatto bene a dar retta a suo fratello.
«Rilassati, Ludo. Ormai è fatta, quindi cerca di non pensarci troppo su e goditi questo momento» disse lui sporgendosi in avanti verso di lei.
«Hai ragione» bisbigliò.
Giovanni la guardò a bocca aperta: «Mi stai dando ragione? Oh, mamma! Mi sa che hai la febbre sorellina», scherzò lui, «Forse dovrei riportarti indietro prima…»
Ludovica cercò di sferrargli un calcio sullo stinco ma quasi perse l’equilibrio nel tentativo, facendo sbellicare il fratello dalle risate. Giovanni iniziò a ridere così forte che alcuni dei passeggeri si voltarono a fissarli.
Fortunatamente l’albergo non era molto distante dal luogo in cui Giovanni voleva andare così, dopo appena due fermate, fece cenno alla sorella e scesero a Champ de Mars 1. Gli occhi di Ludovica si illuminarono non appena lesse il cartello: «Mi stai portando a vedere la Tour Eiffel, non è vero?»
«Ci sei arrivata. Era ora!» la stuzzicò lui.
«Dovresti sapere ormai che non ho il benché minimo senso dell’orientamento. Per me la piantina della metropolitana rimarrà un mistero» rispose lei con un sorriso. Giovanni notò con piacere che finalmente iniziava a rilassarsi.
Una volta usciti dalla metro, Ludovica rimase incantata dall’atmosfera in cui si trovava. Si trovavano sulla rive gauche 2 della Senna, la notte era ormai scesa ma l’oscurità non riusciva ad avvolgere completamente la città. Trascinò Giovanni fino al parapetto da cui si poteva godere di una vista straordinaria. Gli edifici illuminati si riflettevano sulla Senna creando giochi di luce incantevoli. Non c’erano dubbi: Parigi era davvero la città dell’amore. L’atmosfera che si respirava sarebbe stata in grado di sciogliere anche il cuore più duro.
Voltandosi verso il fratello, Ludovica vide la Tour Eiffel in lontananza e rimase senza fiato. La Dame de Fer 3 era interamente rivestita di luci dorate e si stagliava contro l’oscurità del cielo. Era la cosa più bella che avesse mai visto. Non ci sono parole per descrivere l’emozione che provò in quel momento. Era estasiata.
Essere usciti di nascosto ora non le sembrava più una brutta idea.
«Forza, Ludo. Andiamo!» esclamò Giovanni dopo aver guardato l’orologio.
«Dove?» chiese lei distogliendo a fatica gli occhi da quella meraviglia .
«A vederla da vicino» rispose ridendo e si mise a correre, inseguito dalla sorella.
Quando arrivarono davanti la Tour Eiffel mancavano un paio di minuti alle undici. Ludovica ansimava per la corsa, ma questo non le impedì di maledire il fratello.
«Idiota! Era necessario correre via in quel modo???»
«Certo che sì» rispose sfoderando uno dei suoi finti sorrisetti angelici. Ludovica non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Era impossibile rimanere seri di fronte alle espressioni da cretino che suo fratello adorava sfoggiare quando ne aveva voglia.
«Guarda» disse lui allo scoccare delle undici, indicandole la Tour Eiffel.
Ludovica si voltò e rimase a fissarla a bocca aperta. Se prima aveva pensato che fosse bellissima, ora le sembrava magnifica. Sulla sua superficie erano stati incastonati, come dei diamanti, dei faretti bianchi che brillavano allo scoccare di ogni ora, rendendo l’atmosfera ancora più magica e spettacolare. Rimasero lì per cinque minuti, il naso rivolto verso quella meraviglia, finché l’incantesimo non ebbe fine.
«Bella, vero?»
Ludovica, troppo imbambolata per rispondere, si limitò ad annuire. Sarebbe rimasta volentieri lì ad ammirarla fino all’alba, ma Giovanni aveva altri piani per quella notte. A malincuore si lasciò trascinare via, lasciandosi la Tour Eiffel alle spalle. Non poteva fare a meno di voltarsi in continuazione, suscitando l’irritazione del fratello che, seccato, si voltò e se la caricò sulla spalla.
«Mettimi giù, stupido!» protestò lei.
«Non ne ho nessuna intenzione» rispose serafico, continuando a camminare lungo la riva della Senna.
«Mettimi giù, ho detto!» ripeté lei alzando la voce e attirando gli sguardi di alcuni passanti.
«Mettimi giù o dirò alla mamma che mi hai costretta ad uscire stasera», lo minacciò.
Giovanni si fermò e lasciò la presa. Ludovica si ritrovò a terra come un sacco di patate.
«Come comanda lei, padrona» disse lui sorridendo, facendole una sorta di inchino.
La faccia di Ludovica si tinse di un rosso acceso, ma fortunatamente la scarsità di lampioni celò il suo imbarazzo ai pochi spettatori che si erano fermati ad osservarli. Ignorando la mano tesa del fratello si rimise in piedi e gli voltò le spalle, continuando a camminare nella direzione in cui erano diretti. Giovanni le corse dietro e le mise un braccio intorno al collo:
«Mi dispiace, Ludo» si scusò.
«Idiota!»
«Dai su, non fare così. È la nostra unica sera di libertà».
«Era necessario gettarmi a terra?» sibilò.
«Lì te la sei un po’ cercata» rispose lui sovrappensiero, «Animo, ragazza mia! C’è un’altra cosa che vorrei mostrarti».
«E cosa?» chiese incuriosita, dimenticandosi di avercela con lui.
«Mmmh… è una sorpresa!»
I due ragazzi camminarono per un po’ lungo la riva. Appoggiata al braccio del fratello, gli occhi di Ludovica saettavano a destra e a sinistra cercando di non perdere nessun particolare di ciò che vedevano. Continuando a camminare, i suoi pensieri vennero interrotti da una melodia particolare. Seguendo la musica notarono un gruppo di persone che danzavano poco più avanti, mentre altri li osservavano.
«La sera alcuni ballerini di tango si radunano qui per ballare», le spiegò Giovanni, «soprattutto d’estate quando le scuole di ballo sono chiuse. Vieni, sediamoci su quella panchina».
Affascinata dalla sensualità che i ballerini trasmettevano, Ludovica si accorse a malapena che suo fratello l’aveva lasciata da sola come al solito per accalappiare una biondina che, come loro, si era fermata a guardare. Lanciando un’occhiata alla ragazza – la classica ragazza tutta curve, trucco ed extension, attratta solo da super palestrati – Ludovica pensò che anche quella volta suo fratello non aveva alcuna speranza. Doveva riconoscerglielo, però, Giovanni non si lasciava scoraggiare e ci provava sempre e comunque. Intenta ad osservare il fratello che sfoderava una delle sue tante frasi per rimorchiare, non si era accorta che uno dei ballerini si era allontanato dagli altri e le si era avvicinato. Sentendosi osservata, Ludovica si girò e incontrò il suo sguardo, due splendidi smeraldi, incorniciati da morbidi riccioli neri che gli accarezzavano la fronte. Il ragazzo le sorrise e le porse la mano:
«Voulez-vous danser, Mademoiselle?» 4
«Je… ne…» balbettò confusa. Avrebbe voluto spiegargli che non sapeva ballare ma purtroppo di francese conosceva solo quattro o cinque parole. Era già un miracolo che fosse riuscita a capire cosa le aveva detto.
Vedendola così impacciata, il ragazzo la prese per mano e la trascinò gentilmente in mezzo agli altri ballerini che non avevano mai smesso di ballare. Una volta raggiunto il centro di quella pista improvvisata, prese la mano sinistra di Ludovica e se la posò sulla spalla mentre la sua mano destra scivolò dolcemente dietro la schiena di lei, attirandola a sé.
Se non fosse stata inebriata dal suo sguardo probabilmente Ludovica, timida com’era, non avrebbe mai accettato di mettersi così al centro dell’attenzione. Una piccola parte di lei era consapevole che una volta rimasta sola col fratello, lui non avrebbe esitato a prenderla in giro per la figuraccia che avrebbe sicuramente fatto, visto che non sapeva ballare. Persino un lampione era meno rigido di lei. Ogni volta che i suoi amici decidevano di andare in discoteca, Ludovica inventava qualche scusa.
Questa volta però, invece di lasciarsi guidare dalla musica, Ludovica si lasciò guidare da quel bellissimo ragazzo che aveva di fronte e che non smetteva di guardarla. Le sarebbe piaciuto chiedergli il suo nome, ma non sapeva come, così si limitò ad immergersi nei suoi occhi mentre lui la guidava. Man mano che ballavano i loro corpi sembravano attirarsi come due calamite, avvicinandosi sempre di più, finché Ludovica si ritrovò stretta fra le sue braccia. Poteva quasi sentire il cuore del ragazzo battere contro il suo. Lui appoggiò la fronte alla sua e le sorrise. Il suo sorriso era caldo e suadente e Ludovica non poté fare a meno di arrossire. Sembrava quasi di essere in un sogno e lei avrebbe voluto restare così per sempre, ma purtroppo anche i sogni sono destinati a finire.
Ludovica udì la voce del fratello che la chiamava e si voltò. Lo vide poco distante, in mezzo alla gente che li osservava. Le stava facendo cenno che era ora di andare. Lei si girò verso il ragazzo che, deluso, le accarezzò il braccio. Aveva compreso che lei non poteva restare e sembrava visibilmente triste.
Pensando che quella era la loro ultima sera a Parigi e che non l’avrebbe più rivisto, Ludovica fece una cosa che sorprese persino lei stessa. Si avvicinò a lui e, dopo avergli sfiorato il viso, lo baciò. Le labbra del ragazzo si schiusero dolcemente e lui la strinse tra le sue braccia. Quando le loro lingue furono costrette a separarsi, Ludovica guardò in quell’abisso verde che, per la prima volta nella sua vita, aveva scatenato in lei una forza e un coraggio che non sapeva di avere, abbattendo ogni timidezza. Lui le sorrise di nuovo e lei, dopo aver sfiorato le labbra di lui per l’ultima volta, si girò e corse via, senza voltarsi indietro.

1 Significa “Campo di Marte”. È un giardino pubblico di Parigi, delimitato a nord-ovest dalla Tour Eiffel.
2
In francese significa “riva sinistra”.

3 “Dama di Ferro”, altro nome con cui è conosciuta la Tour Eiffel.
4
“«Volete ballare, signorina?»”


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Questa storia nasce proprio a Parigi, durante una stupenda e romantica visita guidata sulla Senna. Era una sera d'agosto e il battello scivolava placidamente sul fiume. Ogni angolo di Parigi era illuminato e sulle rive ballerini di ogni tipo danzavano e si divertivano. Era davvero uno spettacolo straordinario. Quella serata mi è rimasta nel cuore e ho cercato di ricreare parte di quella magica atmosfera con questo racconto.

Vi faccio tantissimi auguri e spero che tutti i vostri sogni si realizzino!

 

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