mercoledì 13 luglio 2016

Ultime Parole



Il campanello suonò tre volte e Anna, seccata, si infilò velocemente le scarpe e corse ad aprire la porta. Aveva dato al suo fidanzato le chiavi di casa due mesi prima, ma lui puntualmente le dimenticava chissà dove, divertendosi poi a suonare il campanello finché lei non gli apriva la porta. Forse dovrei cucirgliele addosso, pensò Anna spalancando la porta e lanciandogli un'occhiataccia. Quel giorno era piuttosto infastidita ma non sapeva bene il perché. Aveva a che fare con Franco, ma al momento non ricordava quale fosse il motivo.
«Sei bellissima» furono le prime parole che le disse, non appena la vide. «Anche quando fai il broncio».
«E tu sei il solito smemorato. Che fine hanno fatto questa volta le chiavi?»
«Mmmh... aspetta» e controllando le tasche tirò fuori il portachiavi che lei gli aveva regalato per il loro ultimo anniversario.
«Queste dici?» Anna lo fulminò con un'occhiata ma lui si limitò a sorriderle.
«Oggi pensavo di rapirti e di portarti da qualche parte, che ne dici?» propose lui, prima che lei avesse il tempo di dire qualcosa.
«Non posso, devo lavorare».
 «A dir la verità... no. Ho provveduto a telefonare al tuo capo dicendogli che ti prendevi una giornata di ferie» le rivelò, sfoderando quel suo sorriso furbesco che l'aveva fatta innamorare la prima volta.
Anna spalancò la bocca per lo stupore. Con Franco era sempre stato così: gli piaceva sorprenderla con le sue trovate. Prendendola per mano, lui l'accompagnò alla macchina e le aprì la portiera.
«Dove andiamo?» domandò Anna incuriosita, ma lui si limitò a baciarle la punta del naso facendole l'occhiolino.
Era una bellissima giornata di inizio primavera e il sole sembrava colorare il mondo in modo nuovo. Era piacevole osservare il paesaggio che, fino a pochi giorni prima, era rimasto ammantato dalla nebbia.
Il viaggio non fu particolarmente lungo e ben presto Anna si rese conto di dove fossero diretti. Non appena Franco parcheggiò l'auto, si slacciò di colpo la cintura e aprì la portiera, assaporando l'aria salmastra. Quella spiaggia aveva un posto speciale nel suo cuore: era lì che lui le aveva chiesto di sposarlo.
Camminarono per un po' a piedi nudi sulla sabbia, assaporando il dolce tepore del sole sul viso. La spiaggia era deserta e sembrava quasi che il tempo si fosse fermato, creando un piccolo angolo di paradiso solo per loro due.
Nel pomeriggio si fermarono in un piccolo chiosco vicino al mare e ordinarono due aperitivi.
«A cosa devo tutto questo?» gli chiese Anna, voltandosi verso di lui.
Franco ci mise un po' a rispondere, ammirando le onde che accarezzavano la battigia. Dopo qualche minuto di silenzio, si voltò verso di lei e le prese la testa fra le mani, finché i loro visi quasi si sfiorarono. Il suo sguardo era leggermente venato di tristezza.
«Vorrei che mi perdonassi e che, allo stesso tempo, perdonassi te stessa. Non voglio che le ultime parole che tu abbia sentito uscire dalla mia bocca siano intrise di rabbia. Voglio che mi ricordi così come siamo ora, felici e innamorati; perché tu, amore mio, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata e ti ho amata fin dal primo momento che ti ho vista. L'ultima cosa a cui ho pensato prima di morire sei stata tu e il tuo magnifico sorriso. Non privare il mondo del tuo sorriso e non dimenticare mai quanto ti amo».
Il mondo sembrò dissolversi e il viso di Franco iniziò a divenire sempre più sfocato. Anna lo chiamò spaventata, ma non ottenne risposta. Si svegliò di colpo nella sua camera, completamente immersa nell'oscurità, la mano tesa nella speranza di afferrare quella di lui. Mentre cercava di calmare l'angoscia provocatale da quel sogno, i ricordi della sera prima iniziarono lentamente a riaffiorare. Il litigio con Franco, lui che se ne andava sbattendo la porta mentre lei gli scaraventava contro un vaso che aveva sempre odiato, ma che non aveva mai buttato via perché a lui piaceva. Era andata a letto presto, sperando che il sonno portasse via la rabbia che lui e le sue parole le avevano scatenato dentro. L'aveva accusata di essere innamorata solamente del suo lavoro, di non avere mai tempo per lui e lei, a quel punto, non ci aveva visto più; gli aveva indicato la porta e Franco, furioso come mai l'aveva visto prima, era uscito di corsa, dopo averle urlato contro di non essere più la persona che aveva conosciuto.
Ma al momento tutto questo non aveva importanza. Anna cercò a tentoni la sveglia; erano appena le due del mattino. Si diresse in cucina e afferrò il telefono, strappandolo bruscamente dal caricabatteria. Turbata dal sogno che aveva appena fatto ci mise un secondo a trovare il numero di casa di Franco, ma nessuno rispose. Probabilmente non è ancora rientrato a casa, si disse; lo faceva spesso quando litigavano. Eppure uno strano presentimento le si stringeva pian piano intorno al cuore, minacciando di gettarla nel panico. Decise allora di chiamarlo al cellulare, anche se forse lui era in collera con lei, ma valeva la pena correre quel rischio solo per essere certa che stesse bene.
Aspettò con ansia che rispondesse al telefono, tormentandosi l'unghia del pollice.
«Pronto, chi parla?» La voce non apparteneva affatto a Franco.
«Chi è lei e perché ha telefono del mio fidanzato?» replicò lei, con voce incerta.
«Mi dispiace signora, sono l'agente Piani. Il suo fidanzato è stato coinvolto in un brutto incidente e purtroppo... » Anna non riuscì a sentire il resto della frase. Il cellulare le scivolò di mano cadendo a terra. Le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi mentre fissava lo schermo infranto, incapace di muoversi.
Non seppe mai per quanto tempo rimase lì a contemplarlo. Solo quando sentì suonare il campanello della porta riuscì a riscuotersi quel tanto che bastava per aprire. Due agenti in divisa la fissarono a disagio.
Da quello che Anna riuscì a capire, dato il suo stato di shock, i due agenti erano stati tra i primi ad accorrere quando l'auto di Franco era stata investita da un tir, finendo contro uno dei grossi platani che costeggiavano la strada. Senza esitare avevano sfondato il finestrino del conducente per cercare di salvarlo ma lui era spirato poco dopo tra le loro braccia, pronunciando il suo nome e supplicandoli di dirle quanto in realtà l'amasse. Non appena avevano affidato il suo corpo all'ambulanza, si erano precipitati subito da lei per riferirle le sue ultime parole.
Il più robusto dei due le si avvicinò, mettendole una mano sulla spalla e le chiese se ci fosse qualcuno che potesse chiamare per darle un po' di conforto in quel difficile momento. Anna, tra le lacrime, farfugliò qualcosa, ma l'uomo non riuscì a capire.
«Mia sorella» ripeté lei, soffocando un singhiozzo.
«Ci penso io» disse l'altro agente, raccogliendo il cellulare di Anna. Sfogliò rapidamente la rubrica e telefonò alla donna, scusandosi per l'ora e chiedendole di raggiungere la sorella il prima possibile. «Arriverà tra dieci minuti. C'è qualcos'altro che possiamo fare per lei?».
Anna scosse la testa, incapace di pronunciare una sola parola. Gli agenti rimasero con lei fino all'arrivo della sorella, che li ringraziò di cuore per essersi presi cura di lei. Anna era seduta sul divano e, quando la sorella le si sedette accanto e l'abbracciò, iniziò a piangere sempre più forte, sfogando tutto il suo dolore. Era ormai mattino inoltrato quando si addormentò esausta.
Quando si svegliò, Anna sentì il bisogno di rivedere Franco per l'ultima volta e, dopo aver implorato la sorella di accompagnarla, salì in macchina diretta verso l'obitorio.
Il volto di Franco sembrava sereno, come se lui stesse ancora dormendo. Anna gli accarezzò i capelli e gli baciò la fronte. Alcune lacrime che non riuscì a trattenere caddero sul viso di lui e chiunque l'avesse guardato in quel momento avrebbe quasi potuto credere che anche lui stesse piangendo. Il medico legale e la sorella si allontanarono un momento per dare ad Anna il tempo di dirgli addio, ma lei non ci fece nemmeno caso; in quel momento le parve che il mondo si fosse nuovamente fermato, proprio come nel sogno di quella notte.
«Ti amo e continuerò ad amarti sempre» sussurrò, guardandolo come se lui potesse in qualche modo ricambiare il suo sguardo. Era sciocco, lo sapeva, ma in cuor suo credeva, o forse sperava, che quelle parole potessero in qualche modo raggiungerlo ovunque lui si trovasse.
Si allontanò asciugandosi le lacrime e, presa sua sorella sottobraccio, uscì all'aperto, lasciando che il sole e una brezza leggera le accarezzassero il viso. No, questo non è un addio, si disse. Finché continuerò ad amarlo so che lui mi aspetterà da qualche parte, forse nei miei sogni o altrove, non lo so e non mi importa; tutto ciò che so è che, se c'è una vita dopo la morte, lui sarà lì e lì io sarò con lui.

3 commenti:

  1. Bjby, sono riuscita a trovare un post in cui si vede la casellina commenti, negli altri più recenti è scomparsa.

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  2. O forse questo è un altro dei blog che avevi aperto? Non riesco più a contattarti! Hai chiuso definitivamente con i blog? Sapessi quanto mi manchi!!!!!

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  3. Mi è molto piaciuto il racconto
    Un caro saluto
    Giorgio

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