Carla
si strinse nel cappotto mentre camminava spedita per le vie della
città. Non sapeva dove le gambe la stessero portando. Probabilmente
il più lontano possibile da quel luogo infernale in cui aveva
passato metà della sua vita, lavorando giorno e notte per quattro
soldi. Non riusciva a credere che dopo quindici anni di duro lavoro
l'avessero licenziata con una scusa banale, sostenendo che, a causa
della crisi, erano stati costretti a ridurre il personale.
La
verità però era un'altra, lo sapeva bene. L'avvocato Marconi e il
suo socio avevano preferito liberarsi di lei solamente per assumere
carne più fresca e raccomandata, senza preoccuparsi del fatto che a
quarantacinque anni trovare un nuovo lavoro per lei sarebbe stato
quasi impossibile.
Cercando
di reprimere la rabbia che minacciava di sopraffarla, Carla scostò
una ciocca di capelli che le danzava dispettosa sul viso e affrettò
il passo. Erano quasi le quattro del pomeriggio e iniziava a essere
stanca di girare senza sosta come un'anima in pena.
Si
fermò un momento e si guardò attorno. Senza rendersene conto era
arrivata fino a Piazzale Europa, dall'altro capo della città. Lì,
in una piccola via laterale, c'era la casa in cui aveva trascorso la
sua infanzia e la sua adolescenza. Le sembrava passata una vita.
Esausta e disperata, Carla si accasciò su una panchina, lasciandosi
cullare da vecchi ricordi legati a quel luogo. Si rivide bambina,
mentre giocava a pallone insieme ad altri bambini del quartiere o
mentre si divertivano a saltare la corda.
Quella
piazza era stata il loro campo da gioco ed era sempre stata presente
in tutti i suoi ricordi più belli. Lì aveva trascorso gli anni
migliori della sua vita: aveva giocato da mattina a sera con gli
altri bambini, aveva imparato ad andare in bicicletta e ad usare i
pattini. E come dimenticare quel giorno, in seconda media, in cui
Edoardo le aveva dato il suo primo bacio proprio su quella panchina?
Quanti ricordi!
Il suo
sguardo abbracciò l'intera piazza, mentre la tristezza le riempiva
il cuore. La piazza era quasi deserta. Non c'erano più bambini che
correvano e giocavano allegri e spensierati. Un gruppo di ragazzini
se ne stava ammassato in un angolo, ognuno col naso incollato al
proprio cellulare, rinchiuso in un mondo solitario. La gente che
attraversava la piazza, invece, non la degnava di uno sguardo, come
se per loro quella fosse una strada qualunque e senza alcuna
importanza.
«E'
triste, non è vero?» disse una voce alla sua destra, spaventandola.
Carla
si voltò di scatto. Si era persa a rimuginare così profondamente
sulla malinconia della sua vita, da non essersi nemmeno accorta che
un'anziana signora si era seduta accanto a lei.
«Come,
prego?» domandò confusa.
«Dicevo,
non è triste vedere come si è ridotta questa piazza? Sa, una volta
portavo mia figlia qui quando era piccola. Si divertiva un mondo. Mi
sarebbe piaciuto portarci i miei nipotini, ma sembra quasi che non
sappiano che cosa voglia dire stare all'aperto e inventare nuovi
giochi per divertirsi. Non trova anche lei?»
Carla
la osservò per un momento. Avrà avuto all'incirca ottant'anni ed
era avvolta da un cappottino color vinaccia. Morbidi riccioli bianchi
le incorniciavano il volto, illuminato da un ampio sorriso. Sebbene
tutte le altre panchine della piazza fossero vuote, aveva scelto di
sedersi accanto a lei. Forse si sentiva sola e aveva bisogno di
qualcuno con cui parlare, peccato che lei non fosse per niente di
buonumore.
«Ha
ragione, non è più quella di una volta» rispose Carla,
distogliendo lo sguardo da lei.
«Eh,
le cose cambiano, ma non sempre in meglio», disse la signora,
accogliendo la risposta di Carla come un invito a proseguire.
«Tuttavia immagino che non sia per questo motivo che lei è triste,
dico bene?».
Carla
era stupefatta. Possibile che il suo dolore fosse così evidente?
«Dice
bene, ma preferirei non parlarne». Il suo tono di voce era fermo, ma
celava al suo interno una grande tristezza, mescolata a una forte
rabbia. Aveva sempre lavorato più degli altri, rinunciato a molti
fine settimana e festività varie, pur di essere sempre a
disposizione dei suoi datori di lavoro, dimostrando loro di essere
una valida risorsa. Ora invece che le rimaneva?
«Sa
qual è il segreto per vivere felici?» le domandò la vecchietta,
sottraendola dai suoi pensieri. «Cercare sempre il lato positivo di
ogni cosa, questo è il segreto. Qualunque cosa le sia successa, di
sicuro avrà un lato positivo, ma se non riesce a vederlo stia certa
che le porterà comunque del bene. La veda come un'opportunità di
tirare fuori il meglio da se stessa, invece che come un ostacolo. La
vita è costellata di momenti bui, ma se passiamo il tempo a
rimuginarci continuamente sopra, saremo troppo impegnati ad
aspettarci il peggio e ci perderemo tutto il buono che la vita porta
con sé. Non trova?»
Carla
era senza parole. Sembrava quasi che quella donna fosse in grado di
leggerle dentro. Forse aveva ragione. Aveva passato troppo tempo a
soffocare se stessa dietro ad un lavoro che non aveva mai amato. Che
fosse giunto il momento di intraprendere una strada diversa e più
gratificante? L'anziana signora le aveva suggerito di cambiare punto
di vista e di guardare il mondo da un'altra prospettiva, senza
fermarsi di fronte agli ostacoli ma di trasformarli in opportunità
che la rendessero se non felice, almeno soddisfatta del percorso
intrapreso.
«Grazie
di cuore» mormorò Carla alzandosi e rivolgendo a quella sconosciuta
un ampio sorriso. «Seguirò il suo consiglio».
«Io
non ho fatto nulla» rispose serafica la donna.
«Mi
ha cambiato la giornata». Carla se ne andò con il cuore più
leggero, certa che non avrebbe mai dimenticato quel bizzarro
incontro. Quella piazza le aveva regalato un altro momento magico.
La
vecchietta la guardò allontanarsi, felice di aver fatto del suo
meglio per alleviare la sua tristezza, quando una voce la chiamò:
«Elvira! Ti sei messa di nuovo a impicciarti degli affari altrui,
vero?»
«Che
cosa te lo fa credere, Greta?» rispose ostentando una finta
innocenza.
«Ti
ho visto sai che parlavi con quella donna. Non la conosci nemmeno.
Proprio non ce la fai a tenere fuori il tuo naso dalla vita degli
altri, eh?» la sgridò l'altra.
«Forse,
se fossi arrivata puntuale e non in ritardo come tuo solito, non
avrei avuto alcun bisogno di chiacchierare con una sconosciuta per
evitare di annoiarmi a morte nell'attesa che tu mi degnassi della tua
presenza» la rimbeccò lei. La verità era che quella donna le
ricordava tanto sua figlia Elisa e le si era stretto il cuore quando
l'aveva vista seduta su quella panchina. Non sopportava vedere la
gente soffrire, specialmente qualcuno che assomigliava così tanto ad
una persona a lei cara, ma non aveva alcuna voglia di spiegarlo
all'amica. Era assolutamente certa che non avrebbe capito.
«Dai
su, non tenermi il broncio cara» le disse Elvira prendendola a
braccetto. «Che ne dici di andarci a prendere un bel cappuccino al
bar qui di fronte?»
«Mmmh...
con un bel cornetto al cioccolato?» Greta si inumidì le labbra
pregustando quella prelibatezza.
«Ma
certamente, offro io».
«Allora
mi sa che potrei anche perdonarti».
Entrambe
scoppiarono a ridere e si avviarono verso il bar mentre le luci della
piazza iniziavano ad illuminare la sera.
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